Da Truman a Trump, tutti i presidenti di una superpotenza
In più di settanta anni, si sono succeduti alla Casa Bianca 13 presidenti, di cui sette repubblicani e sei democratici. In 18 elezioni, si sono imposti 10 volte i candidati del Gop e 8 i Dem
E' all'indomani della Seconda guerra mondiale che gli Usa raggiungono lo status di potenza globale, in competizione per decenni con il gigante euroasiatico dell'Urss. Il conflitto ha forgiato nuove alleanze, sepolto le vecchie, ha visto nascere nuove istituzioni e l'Europa perdere lo scettro nelle relazioni internazionali. Da allora, militari statunitensi sono presenti stabilmente oltre oceano, tanto in Estremo Oriente come nel Vecchio continente, simbolo di una storia che ha voltato pagina.
Truman, gli Usa come potenza globale
In questo contesto si svolgono negli Stati Uniti le prime presidenziali del Dopoguerra, il 2 novembre del 1948. Le vincerà il presidente in carica, il democratico Harry Truman, con il 49,55%, contro il rivale repubblicano, Thomas Dewey, governatore di New York, con il 45,07% (in voti elettorali 303 a 189). Il governatore della Sud Carolina, Strom Thurmond, segregazionista, ebbe il 2,41% e 39 voti elettorali, vincendo in quattro stati del Sud. Truman, già senatore del Missouri, era stato eletto vicepresidente nel 1944, diventando presidente nell'aprile del 1945, all'indomani della scomparsa di Franklin Roosevelt, vincitore di quattro elezioni consecutive a partire dal 1932. L'esito segnò una clamorosa disfatta dei sondaggisti che avevano previsto la vittoria del repubblicano, già sconfitto nel 1944 dal presidente del New Deal. Nel mandato di Truman furono cruciali il Piano Marshall per la ricostruzione economica dell'Europa (1947) e l'istituzione della Nato (1949).
Eisenhower, un generale alla Casa Bianca
Le elezioni successive si svolgono il 4 novembre 1952 e vedono dopo venti anni il ritorno dei repubblicani alla Casa Bianca con il generale texano Dwight Eisenhower, primo Comandante supremo della Nato e nella Seconda guerra mondiale Comandante delle Forze statunitensi in Europa, con la regia del decisivo sbarco in Normandia. Estraneo alla macchina del partito, ma con una grande popolarità personale, Eisenhower ottiene il 55,18% contro il democratico Adlai Stevenson II, governatore dell'Illinois, con il 44,33% (in voti elettorali 442 a 89). Le presidenziali del 6 novembre 1956 segnano una rielezione schiacciante di Eisenhower che vince ancora contro Stevenson con il 57,37% contro il 41,97% (in voti elettorali 457 a 73). La guerra in Corea, la ricostruzione in Europa occidentale, la rivoluzione ungherese repressa dalle truppe sovietiche e la crisi di Suez furono gli eventi internazionali più significativi nel suo mandato.
Kennedy, la Nuova frontiera e il dramma di Dallas
Con gli anni Sessanta irrompe sulla scena una nuova protagonista: la televisione. Nascono così i primi duelli sul piccolo schermo tra i candidati alla Casa Bianca, destinati ad aprire una nuova era nella comunicazione e nella politica. L'8 novembre 1960 si sfidano il democratico John F. Kennedy, giovane senatore del Massachusetts che propone una "Nuova frontiera", e il repubblicano Richard Nixon, vicepresidente per otto anni con Eisenhower ed ex senatore della California. Si imporrà il primo per un pugno di schede: 49,72% contro 49,55% (in voti elettorali 303 a 219). Primo presidente della minoranza cattolica e più giovane eletto, Kennedy marcò la sua presidenza con un'impronta riformatrice e l'impegno per i diritti civili sul fronte interno, mentre nel contesto internazionale la crisi dei missili di Cuba e la corsa allo spazio segnarono tappe rilevanti della Guerra fredda. La sua uccisione, avvenuta a Dallas il 22 novembre 1963, uno degli eventi più traumatici per gli Usa e il mondo, resta ancora oggi un mistero irrisolto.
Johnson, il pantano del Vietnam
Subentra a Kennedy il suo vice, Lyndon B. Johnson, del Texas, già capogruppo Dem in Senato. L'anno dopo, egli ottiene un'elezione nettissima, sconfiggendo il 3 novembre 1964 il senatore dell'Arizona Barry Goldwater, leader storico della destra repubblicana, con il 61,05% contro il 38,47% (486 a 52): sarà la percentuale più alta nel Novecento. La prosecuzione dell'agenda kennediana sui diritti civili, con le riforme della "Great Society", si intreccia nel suo mandato con l'escalation della guerra in Vietnam, con crescenti contestazioni all'interno, che lo portarono a rinunciare alla candidatura e a lasciare la politica in un anno che segna l'esplodere della contestazione giovanile e l'invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe sovietiche per schiacciare la Primavera di Praga.
Nixon, la carta cinese e il Watergate
La campagna delle presidenziali del 1968 è funestata dall'assassinio del senatore Dem di New York Robert Kennedy (fratello di John), ucciso a Los Angeles il 6 giugno, all'indomani della sua vittoria nelle primarie californiane. I democratici candidano il vice presidente uscente, Hubert Humphrey, già senatore del Minnesota, mentre i repubblicani puntano di nuovo su Nixon, che vincerà il 5 novembre con un margine molto ridotto: 43,42% contro 42,72% (301 a 191). Questo per la presenza di un terzo candidato, l'ex governatore dell'Alabama, George Wallace, ex democratico indipendente su posizioni segregazioniste, che conquista il 13,53% e 46 grandi elettori, imponendosi in 5 stati del Sud (Alabama, Arkansas, Georgia, Louisiana, Mississippi).
La controversa presidenza Nixon, tra luci e ombre, ha segnato molte tappe importanti a livello internazionale: dal progressivo disimpegno in Vietnam, dopo forti contestazioni che hanno segnato un'epoca, al riconoscimento della Cina, dall'uomo sulla Luna all'appoggio alle giunte militari sudamericane nel fuoco della Guerra fredda, dalla firma con Mosca del Trattato per la limitazione delle armi strategiche (Salt I) all'abolizione del sistema di cambi fissi stabilito nel 1944 dalla Conferenza di Bretton Woods. Il 7 novembre 1972 Nixon ottiene una rielezione trionfale contro il democratico George McGovern, senatore del Sud Dakota, con il 60,67% contro il 37,52% (520 a 17), lasciando all'avversario solo il Massachusetts e il Distretto della capitale. Nel ticket Dem ancora un kennediano, Sargent Shriver, cognato di John e Bob ed ex ambasciatore a Parigi.
Ma l'amministrazione Nixon sarà destinata ad essere travolta dal maggiore scandalo politico della storia Usa: il Watergate. Le intercettazioni illegali nel quartier generale del Comitato democratico da parte di esponenti legati al comitato per la sua rielezione, lo portarono a dimettersi nell'agosto del 1974, per evitare la procedura di impeachment. Lo sostituirà il vicepresidente Gerald Ford, già deputato del Michigan e leader del Gop alla Camera, a sua volta subentrato l'anno prima al vicepresidente Spiro Agnew (ex governatore del Maryland), dimessosi per uno scandalo di evasione fiscale.
Da Ford a Carter
La presidenza Ford è stata la più breve del Dopoguerra e non ha inciso in modo significativo sul ruolo degli Usa nello scenario internazionale, mentre all'interno suscitò polemiche la sua decisione di concedere il "perdono presidenziale" a Nixon. Ford ottiene per pochi voti la nomination del Gop contro Ronald Reagan, ma sarà sconfitto il 2 novembre 1976 dal democratico Jimmy Carter, già governatore della Georgia, sia pure con uno stretto margine: il 50,08% contro il 48,01% (297 a 240). Era da oltre un secolo che non veniva eletto un presidente del Sud. Ricco di eventi significativi è invece il mandato di Carter: dagli Accordi di Camp David, che segnarono la pace tra Egitto e Israele, all'invasione sovietica dell'Afghanistan, dalla firma del Salt II alla crisi degli ostaggi americani in Iran che gli sarà fatale e che dominerà la campagna elettorale del 1980, dove subirà forti accuse di debolezza. Il 4 novembre del 1979 un gruppo di studenti iraniani aveva occupato l'ambasciata Usa a Teheran, catturando per mesi decine di ostaggi. Negoziati infiniti e un fallito blitz portarono a un drastico calo della popolarità di Carter, destinandolo alla sconfitta alle presidenziali l'anno successivo.
Gli anni '80 e l'era Reagan
Il voto del 4 novembre 1980 segna l'inizio dell'era di Ronald Reagan. Con un passato di attore a Hollywood, l'ex governatore della California (1967-1975) vince con il 50,75% contro il 41,01% di Carter (489 a 49), mentre il 6,6% va all'indipendente John Anderson, deputato repubblicano dell'Illinois. Reagan trascina il Gop alla vittoria anche al Senato, conquistando la maggioranza dopo 26 anni. La sua discussa politica economica ("Reaganomics") portò a un forte taglio delle tasse e a una buona ripresa economica, ma anche all'aumento del debito pubblico e minore sensibilità sociale. Nel contesto internazionale sfidò Mosca con la Strategic Defense Initiative che, secondo alcuni, fu uno dei fattori che preparò la strada al dissolvimento dell'Unione sovietica. Ebbe successo nell'accreditarsi come rappresentante dei cittadini contro l'invadenza del potere federale e incarnò, con la premier britannica Margaret Thatcher, la leadership conservatrice negli anni '80. Schiacciante la sua rielezione il 6 novembre 1984, contro il democratico Walter Mondale, già vicepresidente con Carter e senatore del Minnesota. Per la prima volta i Dem hanno nel ticket una donna, l'italoamericana Geraldine Ferraro, deputata di New York. Reagan vince con il 58,77% contro il 40,56% (525 a 13), lasciando al rivale solo il Minnesota e il Distretto della capitale.
Bush, la svolta epocale del crollo del'Urss
Viene considerata in un certo senso come la terza vittoria di Reagan l'elezione nel 1988 alla presidenza del suo vice uscente, George Bush, che supera l'8 novembre il governatore del Massachusetts, Michael Dukakis, con il 53,37% contro il 45,56% (426 a 111). Figlio dell'ex senatore del Connecticut Prescott, Bush in precedenza ha ricoperto numerose cariche, deputato del Texas dal 1967 al 1971, ambasciatore all'Onu (1971-'73), presidente del partito (1973-'74), direttore della Cia (1976-'77) e vice per 8 anni. Nel suo mandato, eventi epocali: la caduta del Muro di Berlino (1989) e il dissolvimento dell'Unione sovietica (1991), con la fine di un ordine internazionale che durava da decenni. Di grande rilevanza anche la Guerra del Golfo, seguita all'invasione del Kuwait da parte dell'Iraq di Saddam Hussein, con la creazione di una forza multinazionale senza precedenti. Tuttavia, la crisi economica all'inizio degli anni '90 portò a un calo della sua popolarità e alla sconfitta elettorale.
Clinton, i Dem e la New economy
Le presidenziali del 3 novembre 1992 vedono la vittoria del giovane governatore dell'Arkansas, Bill Clinton, anche grazie alla presenza di un altro candidato, l'imprenditore indipendente texano Ross Perot, che sottrae molti voti al campo repubblicano. Clinton ottiene il 43,01% contro il 37,45% di Bush (370 a 168), mentre Perot arriva al 18,91%, il miglior risultato ottenuto da un "terzo" dal 1912. Con Clinton arriva al potere una nuova generazione di democratici, ritenuta centrista in economia e progressista nelle tematiche sociali. Tuttavia, la sua prima prova alle urne segna una sconfitta storica per i Dem, perché alle elezioni di metà mandato del 1994 l'opposizione repubblicana conquista il pieno controllo del Congresso: non accadeva dal 1952. Clinton riesce però a recuperare consensi e vince le presidenziali del 5 novembre 1996, contro il repubblicano Robert Dole, già senatore del Kansas, veterano della Camera alta e candidato alla vicepresidenza con Ford nel 1976. A Clinton va il 49,23% contro il 40,72% di Dole (379 a 159), mentre Perot si ferma all'8,40%.
Tra gli eventi internazionali rilevanti vanno ricordati nel 1993 gli Accordi di Oslo, con la storica stretta di mano tra Rabin e Arafat, e nella seconda metà della decade le operazioni nei Balcani per fermare la pulizia etnica contro i kosovari da parte del regime jugoslavo. Il secondo mandato viene però oscurato da uno scandalo sessuale e nel 1998 è sottoposto ad impeachment per falsa testimonianza e ostruzione della giustizia per la vicenda Lewinsky, ma sarà assolto dal Senato. Va ricordato che sotto la presidenza Clinton viene abolita la norma (Glass-Steagall Act) che aveva introdotto una netta separazione fra attività bancaria tradizionale e attività bancaria d’investimento, con effetti che si riveleranno in seguito catastrofici, dato inizialmente sottovalutato. E' il momento in cui esplode la new economy, innescata dalle grandi trasformazioni tecnologiche avvenute a cavallo tra i due secoli, e presto entreranno in scena i social, destinati a cambiare radicalmente i rapporti tra politici ed elettorato.
George W. Bush, l'11 settembre e la grande recessione
Le elezioni successive, svoltesi il 7 novembre 2000, aprono il nuovo millennio con una delle presidenziali più travagliate della storia. I democratici candidano il vicepresidente uscente, Al Gore, già senatore del Tennessee, i repubblicani il governatore del Texas, George W. Bush, figlio dell'ex presidente. Il vincitore fu dichiarato dopo vari giorni per il braccio di ferro sull'estenuante conteggio in Florida (governatore in carica il fratello Jeb Bush), che assegnava di fatto la presidenza, attribuito per poche centinaia di preferenze a Bush. Gore vinse nel voto popolare 48,38% contro 47,87%, ma Bush prevalse nei Grandi elettori 271 a 266. La sconfitta del candidato più votato non accadeva dal 1888. La presidenza di George W. Bush sarà marcata dagli attentati dell'11 settembre 2001 e dalla conseguente guerra al terrorismo, che porterà il leader Usa alle controverse guerre in Afghanistan (2001) e Iraq (2003), rispettivamente per rovesciare il regime talebano e quello di Saddam Hussein. Tali scelte portarono anche a forti divisioni con gli alleati europei, lasciando sul campo molti nodi irrisolti. Il mondo conoscerà così i proclami di Osama bin Laden, capo dell'organizzazione terroristica al Qaida. Alle elezioni successive, svoltesi il 2 novembre 2004, Bush si impone più nettamente sul democratico John Kerry, a lungo senatore del Massachusetts e poi segretario di Stato nel secondo mandato di Obama. Bush vince con il 50,73% contro il 48,26% (286 a 251), con una campagna elettorale ancora dominata dal tema della guerra al terrorismo e del conflitto in Iraq, mentre verso la fine del mandato scoppia la più grave recessione degli ultimi decenni, innescata dalla "crisi dei subprime" (prestiti ad alto rischio finanziario), che portò a gravi conseguenze sull'economia mondiale, in particolar modo nei paesi sviluppati occidentali.
Obama, il ritorno dei democratici
Le consultazioni del 4 novembre 2008 si svolgono in uno scenario raro, perché è la prima volta dal 1952 che non si presentano presidenti o vicepresidenti uscenti. Le primarie che hanno preceduto il voto sono così all'insegna dell'incertezza. Tra i democratici prevale il giovane neo senatore dell'Illinois Barack Obama, primo candidato di origine afroamericana, che supera la senatrice di New York ed ex first lady Hillary Clinton, mentre i repubblicani candidano l'anziano senatore dell'Arizona John McCain, eroe della guerra in Vietnam, che batte, tra gli altri, l'ex sindaco di New York, Rudolph Giuliani, e l'ex governatore del Massachusetts, Mitt Romney. Per la prima volta nella storia del Gop, una donna è candidata alla vicepresidenza, Sarah Palin, governatore dell'Alaska. Obama conquista la presidenza con un buon margine, il 52,86% contro il 45,60% (365 a 173). Nel 2009 gli viene assegnato il Premio Nobel per la Pace "per i suoi sforzi straordinari volti a rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli", si legge nella motivazione. E' il quarto presidente Usa ad ottenere il riconoscimento, dopo Theodore Roosevelt (1906), Woodrow Wilson (1919) e Jimmy Carter (2002). Il 25 marzo 2010 firma la legge della riforma sanitaria ("Obamacare"), che punta all'aumento del numero di persone tutelate dal sistema sanitario, destinata a un cammino travagliato.
L'agenda di Obama è segnata dalla necessità di affrontare gli effetti della grande recessione ereditata, mentre in campo internazionale domina ancora il tema del terrorismo, che culminerà il 1º maggio 2011 con il blitz delle forze Usa per uccidere bin Laden dopo un conflitto a fuoco in un complesso residenziale ad Abbottabad, in Pakistan. Il 6 novembre 2012 Obama viene confermato con la vittoria contro Mitt Romney, ottenendo il 51,01% contro il 47,15% (332 a 206). Nel suo secondo mandato hanno grande rilevanza l'Accordo sul nucleare iraniano (2015) e il disgelo con Cuba, con il ripristino dei rapporti diplomatici formali (2015).
Trump, un ciclone per gli Usa e il mondo
La conclusione del mandato di Obama coincide con l'avvento di una vera rivoluzione del sistema politico americano, destinata ad avere grandi ripercussioni interne e internazionali. L'8 novembre 2016 i repubblicani vincono le elezioni con Donald Trump, imprenditore newyorchese, contro Hillary Clinton, la prima donna ad essere candidata per uno dei due maggiori partiti. Come accaduto nel 2000, il voto popolare vede la vittoria del candidato Dem, 48,02% contro 45,93%, ma nei voti elettorali il successo va al Gop: Trump prevale 304 a 227. In sede di formalizzazione del voto, emergono 7 grandi elettori "infedeli" (5 democratici e 2 repubblicani: 3 voti vanno all'ex segretario di Stato Colin Powell, uno ciascuno al senatore del Vermont, Bernie Sanders, all'attivista americana nativa, Faith Spotted Eagle, all'ex deputato del Texas, Ron Paul, e al governatore dell'Ohio, John Kasich).
Arriva alla Casa Bianca, smentendo tutti i sondaggi, un presidente 70enne, il più anziano nella storia Usa, il primo dagli anni '50 a non aver mai ricoperto alcun incarico politico, superando l'aperta ostilità della tradizionale laedership repubblicana. Tra le chiavi del suo successo elettorale, l'aver strappato ai Dem 7 dei 13 stati su cui Obama aveva costruito la sua vittoria, conquistando un terzo delle contee avversarie. Decisivo il suo successo nel cuore dell'industria pesante Usa, epicentro di una profonda crisi che ha generato l'avversione alla globalizzazione, e l'appello a una linea più dura nel tema dell'immigrazione. A ciò va aggiunto la minor presa di Hillary Clinton verso la componente dell'elettorato da sempre più vicina ai Dem, dagli afroamericani ai latinos e ai giovani, nonché il suo essere percepita come esponente dell'establishment, a differenza del rivale. Fortemente critica verso il multilateralismo, l'agenda presidenziale di Trump ha ridefinito bruscamente i rapporti con gli alleati del Vecchio continente, esprimendo esplicita avversione al disegno di unione europea, e ha rovesciato come un guanto la politica mediorientale di Obama, in primis nei confronti di Teheran. Il voto del 3 novembre, influenzato in modo imprevedibile dal Coronavirus, lo vede opporsi a Joe Biden, ex vice presidente con Obama e a lungo senatore del Delaware. Per un'analisi del mandato trumpiano e della campagna elettorale si rimanda allo Speciale di RaiNews.it, con interviste, commenti e approfondimenti.
Pochi numeri per tre quarti di secolo
Dal 1945 ad oggi, si sono svolte negli Usa 18 elezioni presidenziali: in 10 casi si è imposto il candidato repubblicano, in 8 quello democratico. Sin qui, si sono succeduti alla Casa Bianca 13 presidenti, 7 del Gop e 6 Dem. Solo in 5 hanno completato i due mandati quadriennali: Eisenhower, Reagan, Clinton, George W. Bush e Obama. Nelle sette elezioni degli ultimi 30 anni, i democratici hanno vinto nel voto popolare sei volte, perdendo solo nel 2004. Dal 1951 un emendamento della Costituzione Usa, il XX, stabilisce che nessuno può essere eletto presidente più di due volte. Per il dettaglio su tutte le elezioni si veda il sito uselectionatlas.org