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ECONOMIA

Dati 2013

Istat, il Pil pro capite del Mezzogiorno è la metà del Centro-Nord

Numeri negativi anche dall'Ocse: il Pil pro capite italiano era inferiore del 30% rispetto alla media dei primi 17 Paesi Ocse. Il gap è cresciuto: nel 2007 era del 22,7%. 

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Il Mezzogiorno con un Pil pro capite di 17,2 mila euro, presenta "un differenziale negativo molto ampio" con il resto del Paese: il suo livello è inferiore del 45,8%, quindi quasi dimezzato, rispetto a quello del Centro-Nord. I dati sono dell'l'Istat che ha diffuso i numeri del 2013 aggiornati il nuovo sistema dei conti.

Nel dettaglio è Milano la provincia più ricca, mentre tra le zone più povere d'Italia c'è
invece il Medio Capidano (Sanluri e Villacidro). "Nel 2012 Milano è la provincia con i più elevati livelli di valore aggiunto per abitante, pari a 46,6 mila euro; segue Bolzano". Le province che hanno "i più bassi livelli sono Medio Campidano e Agrigento, con circa 12 mila euro, e Barletta-Andria-Trani e Vibo Valentia con meno di 13 mila euro".

La rilevazione Istat arriva nello stesso giorno in cui anche l'Ocse comunica che la mancata ripresa dalla recessione sta portando il reddito pro capite dell'Italia a scendere ancora più in basso rispetto alle principali economie dell'organizzazione parigina. L'Ocse sottolinea che il Pil pro capite italiano nel 2013 era inferiore del 30% rispetto alla media dei primi 17 Paesi Ocse. Il gap è cresciuto: nel 2007 era del 22,7%. Il tutto anche perché "gli sforzi di riforma dell'Italia sono rallentati rispetto al 2011-12 e pertanto c'è un ritardo rispetto agli altri paesi periferici dell'area euro". Tuttavia - aggiungono gli economisti - "il governo ha recentemente completato i primi passi di un programma complessivo di riforma strutturale. Perseguire questo programma con determinazione, contestualmente all'effettiva attuazione delle riforme precedenti, dovrebbe contribuire a una crescita più forte e più inclusiva".

Esprimendo un giudizio positivo sulla riforma del lavoro, l'Ocse dice che l'Italia deve impegnarsi a "spostare la protezione dai posti di lavoro al reddito dei lavoratori", ovvero "continuare a ridurre il dualismo del mercato del lavoro con assunzioni e licenziamenti più flessibili e procedure legali più prevedibili e meno costose, con il supporto di una rete di sicurezza sociale più onnicomprensiva e uno sviluppo delle politiche attive sul lavoro". L'Italia deve invece "migliorare l'efficienza della struttura fiscale", perché "il peso delle tasse per i lavoratori a basso salario è alto, il codice fiscale è troppo complicato e l'evasione è alta". Al nostro Paese viene raccomandato, in particolare, di ridurre "le distorsioni e gli incentivi a evadere, riducendo i tassi di imposizione nominali elevati e abolendo molte spese fiscali", e  "l'instabilità della legislazione, anche evitando misure temporanee". Inoltre, secondo l'Ocse l'Italia dovrebbe "continuare a ridurre la tassazione del lavoro, quando la situazione di bilancio lo permette, puntando a incoraggiare domande e offerta di lavoro". Male anche il canale dell'istruzione: l'Italia deve "migliorare equità ed efficienza" del suo sistema educativo, che "ha un basso rapporto tra qualità e costo e dovrebbe fare di più per migliorare le opportunità per i meno qualificati". L'Ocse bacchetta in particolare il nostro Paese per la spesa per l'istruzione "scesa ben al di sotto della media" e per i numerosi cambi, "tre in quattro anni", al vertice dell'Indire, l'organismo per la valutazione della qualità della didattica.

Passi avanti da fare sulle privatizzazioni, che "non hanno raggiunto gli obiettivi fissati" negli anni scorsi, e implementare con più efficacia le riforme per la riduzione delle "barriere alla concorrenza". In particolare, sottolinea l'Organizzazione parigina, occorre "eliminare i legami di proprietà tra i governi locali e i fornitori di servizi, migliorare gli incentivi all'efficienza della giustizia civile, e snellire ulteriormente le procedure di bancarotta per ridurre durata e costo". Inoltre, rimarca l'Ocse, "un numero significativo di decreti attuativi" per le riforme di "deregulation abbastanza estesa" approvate tra il 2011 e il 2012 "devono ancora essere emanati". 

 
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