MONDO
La scheda
Kayla Jean Mueller, chi è la cooperante americana rapita dall'Isis
Volontaria per l'ong 'Support to Life', 26 anni, originaria di Prescott in Arizona, Kayla era stata rapita dai jihadisti in Siria nell'agosto 2013. In passato aveva lavorato nei campi profughi in Turchia, usando l'arte come terapia, incoraggiando i bambini a disegnare i posti dove si sentivano al sicuro
Roma
Per un anno e mezzo la sua identità è rimasta nascosta, visto che le autorità statunitensi avevano deciso di non diffondere il suo nome, su richiesta anche della famiglia. Ora, a farlo conoscere al mondo è stato l'Isis, che aveva rapito la donna nel 2013. Kayla Jean Mueller, originaria dell'Arizona, è l'ultimo ostaggio statunitense in mano agli estremisti sunniti e, secondo quanto affermato dai jihadisti, sarebbe rimasta uccisa in un "raid aereo giordano", uno di quelli decisi da Amman per vendicare l'uccisione del pilota Muath al-Kasasbeh.
Volontaria per l'ong 'Support to Life', 26 anni, originaria di Prescott in Arizona, Kayla era stata rapita in Siria nell'agosto 2013 insieme a un gruppo di altri cooperanti, che sarebbero poi stati rilasciati. "Finché avrò vita - diceva Kayla in un'intervista del 31 maggio 2013 del The Daily Courier - non permetterò che questa sofferenza diventi qualcosa di normale, qualcosa che accettiamo e basta. E' importante fermarsi e capire quanto siamo privilegiati. E quindi cominciare ad agire".
Nel 2011 la Muller aveva aderito con un video alla campagna su youtube 'Syrian sit-in' in favore del popolo siriano, lasciando forse intravedere quel desiderio che due anni dopo l'avrebbe portata in Turchia e Siria ad aiutare gli altri. "Sono solidale con il popolo siriano - diceva nel video -, rifiuto la brutalità e gli omicidi che le autorità siriane stanno commettendo contro i siriani, perché il silenzio significa esserne complici". Era il 2011 quando Kayla Jean Mueller aderì
Per la sua liberazione, l'Isis aveva chiesto oltre sei milioni di dollari, ma Washington ha sempre mantenuto ferma la politica di non pagare il riscatto degli ostaggi, avvertendo anche le famiglie e i parenti degli americani detenuti in Siria o altrove che, se cedessero alle richieste dei terroristi, potrebbero essere perseguiti penalmente. E solo pochi giorni fa il presidente americano Barack Obama aveva assicurato - in un'intervista alla Nbc - il massimo impegno per riportarla a casa.
La Mueller, prima di arrivare in Siria, aveva lavorato nei campi profughi in Turchia dove usava l'arte come terapia, incoraggiando i bambini a disegnare i posti dove si sentivano al sicuro, quelli ideali. "Quando i siriani sentono che sono americana - raccontava -, mi chiedono: 'Dov'è il mondo?' E io non posso fare altro che piangere con loro, perché non lo so". Raccontò poi che "nel caos del risveglio nel cuore della notte, sotto le bombe, abbiamo saputo che molti bambini sono stati separati dalle loro famiglie per sbaglio"; il suo impegno per i bambini era incondizionato, ma sentiva di "non poter fare abbastanza" per aiutarli.
Volontaria per l'ong 'Support to Life', 26 anni, originaria di Prescott in Arizona, Kayla era stata rapita in Siria nell'agosto 2013 insieme a un gruppo di altri cooperanti, che sarebbero poi stati rilasciati. "Finché avrò vita - diceva Kayla in un'intervista del 31 maggio 2013 del The Daily Courier - non permetterò che questa sofferenza diventi qualcosa di normale, qualcosa che accettiamo e basta. E' importante fermarsi e capire quanto siamo privilegiati. E quindi cominciare ad agire".
Nel 2011 la Muller aveva aderito con un video alla campagna su youtube 'Syrian sit-in' in favore del popolo siriano, lasciando forse intravedere quel desiderio che due anni dopo l'avrebbe portata in Turchia e Siria ad aiutare gli altri. "Sono solidale con il popolo siriano - diceva nel video -, rifiuto la brutalità e gli omicidi che le autorità siriane stanno commettendo contro i siriani, perché il silenzio significa esserne complici". Era il 2011 quando Kayla Jean Mueller aderì
Per la sua liberazione, l'Isis aveva chiesto oltre sei milioni di dollari, ma Washington ha sempre mantenuto ferma la politica di non pagare il riscatto degli ostaggi, avvertendo anche le famiglie e i parenti degli americani detenuti in Siria o altrove che, se cedessero alle richieste dei terroristi, potrebbero essere perseguiti penalmente. E solo pochi giorni fa il presidente americano Barack Obama aveva assicurato - in un'intervista alla Nbc - il massimo impegno per riportarla a casa.
La Mueller, prima di arrivare in Siria, aveva lavorato nei campi profughi in Turchia dove usava l'arte come terapia, incoraggiando i bambini a disegnare i posti dove si sentivano al sicuro, quelli ideali. "Quando i siriani sentono che sono americana - raccontava -, mi chiedono: 'Dov'è il mondo?' E io non posso fare altro che piangere con loro, perché non lo so". Raccontò poi che "nel caos del risveglio nel cuore della notte, sotto le bombe, abbiamo saputo che molti bambini sono stati separati dalle loro famiglie per sbaglio"; il suo impegno per i bambini era incondizionato, ma sentiva di "non poter fare abbastanza" per aiutarli.