MONDO
Russiagate
I silenzi e le omissioni di Sessions di fronte al Senato: "Io colluso con i russi? Odiosa menzogna"
Oltre a negare di aver mai partecipato a "conversazioni con funzionari russi o di qualsiasi governo straniero per influenzare le elezioni presidenziali degli Stati Uniti" e di essere stato a conoscenza di simili incontri "da parte di persone collegate alla campagna presidenziale di Trump", Sessions ha parlato anche dei suoi contatti con l'ambasciatore russo negli Usa, Sergey Kislyak. Ai senatori ha detto di non ricordare "se è avvenuta una breve interazione" un anno fa all'hotel Mayflower di Washington
Il ministro della Giustizia americano Jeff Sessions davanti alla commissione Intelligence del Senato respinge tutte le accuse di coinvolgimento nel caso Russiagate, ovvero nelle possibili ingerenze di Mosca nelle elezioni presidenziali e gli eventuali contatti fra lo staff elettorale di Trump e agenti del governo russo. La sua testimonianza, attesissima, si è svolta in udienza pubblica per richiesta dello stesso Sessions, che è stato accolto nell'aula della commissione da una selva di fotografi e telecamere. Il presidente della commissione, il repubblicano Richard Burr, ha spiegato a Sessions che l'audizione è "l'opportunità per separare i fatti dalla narrativa" e "fare chiarezza su un certo numero di accuse riportate nella stampa".
Oltre a negare di aver mai partecipato a "conversazioni con funzionari russi o di qualsiasi governo straniero per influenzare le elezioni presidenziali degli Stati Uniti" e di essere stato a conoscenza di simili incontri "da parte di persone collegate alla campagna presidenziale di Trump", Sessions ha parlato anche dei suoi contatti con l'ambasciatore russo negli Usa, Sergey Kislyak. Ai senatori ha detto di non ricordare "se è avvenuta una breve interazione" un anno fa all'hotel Mayflower di Washington durante un evento della campagna elettorale di Donald Trump. Ha riconosciuto però di aver incontrato due volte l'ambasciatore russo, durante la Convenzione nazionale repubblicana e nel suo ufficio del Senato. Circostanze che non aveva rivelato durante l'udienza per la conferma della sua nomina a ministro, perché parte del suo lavoro di senatore e non del ruolo di attivista della campagna di Trump. Ma, ha assicurato, "non è avvenuto nulla di improprio" durante quegli incontri.
La verità su Comey
Altro argomento caldissimo è il licenziamento del capo dell'Fbi James Comey da parte del presidente. Sessions ha difeso Trump. Per lui, nel corso dei colloqui con l'ex direttore del Bureau non ci furono comportamenti scorretti da parte del Tycoon. Al contrario, a essere inappropriata è la rivelazione del contenuto di un faccia a faccia privato con il presidente. "Le fughe di notizie danneggiano la sicurezza nazionale", ha sostenuto.
Motivo della sfiducia della Casa Bianca verso Comey, ha sostenuto il ministro della Giustizia, non era affatto il 'Russiagate' ma la gestione "problematica" del caso delle email di Hillary Clinton. Al centro delle critiche la dichiarazione del luglio 2016 di Comey: disse che cui non sarebbe stato ragionevole formulare accuse contro la candidata democratica: "L'Fbi non può decidere politiche per perseguire le persone, e questo era avvenuto per il procedimento Clinton", ha detto Sessions. Il ministro ha dichiarato di aver condiviso la nota preparata dal vice procuratore generale Rod J. Rosenstein, che indicava la gestione dello scandalo delle email di Hillary Clinton da parte di Comey come un motivo per chiedere un rinnovamento nell'Fbi, perchè che le performance di Comey provocavano "gravi problemi" a causa della sua "mancanza di disciplina".
In risposta alle domande dei rappresentanti del Senato sulla possibile rimozione del nuovo procuratore speciale per il Russiagate, l'ex direttore Fbi Robert Mueller, Sessions ha fatto notare che "non sarebbe opportuno se lo facessi". "Ho fiducia in Robert Mueller", ha assicurato Sessions, che poi ha aggiunto: "Ma non ho idea se anche Trump ne abbia".
Silenzi e omissioni: "Proteggo il Presidente"
Nel corso della sua audizione Sessions si è più volte rifiutato di discutere del contenuto di suoi incontri con Trump e anche con Comey, sostenendo che si trattasse di discussioni private.
Jeff Sessions and the art of 'no comment.' https://t.co/UCE9xt2HUZ pic.twitter.com/Q43axtzad4
— AP Politics (@AP_Politics) 13 giugno 2017