Original qstring:  | /dl/rainews/articoli/Trattativa-Stato-mafia-Grasso-depone-su-Mancino-qui-per-giustizia-e-verita-bf7ec2ce-cb1b-4843-b130-9a824e8f3071.html | rainews/live/ | true
POLITICA

Il processo a Palermo

Trattativa Stato-mafia, la deposizione di Grasso: "Qui per giustizia e verità"

Il presidente del Senato nell'aula bunker dell'Ucciardone per riferire sulle richieste dell'ex ministro dell'Interno Mancino, uno degli imputati. "Mi disse che si sentiva perseguitato e di fare qualcosa"

Pietro Grasso durante la sua deposizione a Palermo
Condividi
"Sono qui per venire incontro alle esigenze delle verità e della giustizia". A Palermo, dove è per deporre al processo sulla trattativa Stato-mafia, il presidente del Senato Pietro Grasso ha incassato i ringraziamenti del presidente della corte d'Assise, della procura e delle difese per aver rinunciato al diritto di farsi ascoltare a Palazzo Madama ed ha sottolineato: “Pensavo che sarei stato citato non solo come teste, ma come persona offesa visto che qualcuno, come il pentito Brusca, aveva detto che ero tra quelli a cui dare un colpetto per ravvivare la fiamma della trattativa".

L'ex capo della Direzione nazionale antimafia, citato dai pm, testimonia - si legge nell'articolato di prova - "in ordine alle richieste provenienti dall'ex ministro Nicola Mancino aventi ad oggetto l'andamento delle indagini sulla cosiddetta trattativa, l'eventuale avocazione delle stesse e o il coordinamento investigativo delle Procure interessate".    

La vicenda è quella venuta fuori dalle intercettazioni effettuate dai pm sulle utenze telefoniche di Mancino che, nel processo, è accusato di falsa testimonianza. Dalle indagini emersero le sollecitazioni fatte dall'ex politico Dc a Grasso, all'epoca capo della DNA, direttamente e per il tramite dell'ex consigliere giuridico del Quirinale Loris D'Ambrosio, perchè esercitasse i poteri di coordinamento, riconosciuti alla Procura nazionale antimafia, in merito alle inchieste condotte dai tre uffici sul presunto patto Stato-mafia.    

"Certamente parlai con D'Ambrosio, a Roma – ha spiegato Grasso -, forse ad una lezione alla Luiss per un incontro con gli studenti, e lui mi rappresentò le lamentele reiterate ricevute dal senatore Mancino che si sentiva perseguitato". E, ha continuato l’ex procuratore, “avevo incontrato Mancino durante gli auguri di Natale al presidente della Repubblica Napolitano nel dicembre del 2011. Fu un incontro veloce davanti al guardaroba al Quirinale. In quella circostanza Mancino mi apostrofò dicendo in sostanza che si sentiva quasi perseguitato, tormentato e che c'erano differenze di valutazioni di suoi comportamenti da parte di diverse Procure". “Mancino - ha spiegato ancora Grasso – mi disse che il capo della DNA qualcosa avrebbe dovuto fare. Io risposi che l'unico modo per ridurre a unità le indagini era l'avocazione. Ma dissi che non c'erano i presupposti per farlo. A quel punto concluse dicendo, avocazione no, ma coordinamento sì  un coordinamento delle attività investigative. Poi prendemmo i soprabiti e finì il discorso". "Mi si può dare atto – ha concluso il presidente del Senato - che nessuna interferenza ci fu da parte mia nelle indagini sulla trattativa". 

Poi, il 16 aprile del 2012, quando Grasso era ancora capo della DNA, venne convocato telefonicamente dal procuratore generale della Cassazione Ciani per una riunione, che si svolse poi il 19 aprile, in cui si doveva parlare genericamente di coordinamento investigativo. "Nel corso dell'incontro - ha raccontato Grasso - in realtà la discussione fu più specifica e parlammo non in generale, ma delle indagini sulla trattativa e dei problemi derivati dalla necessità di un'unità di indirizzo da parte delle procure che stavano conducendo inchieste che avevano punti in comune, stavano sentendo persone e valutando fatti e che potevano avere anche impostazioni diverse". "Sul tavolo della riunione - ha spiegato Grasso - c'era anche una lettera del segretario generale del Quirinale Donato Marra al procuratore generale a cui era stata allegata una missiva del senatore Mancino alla presidenza della Repubblica". La lettera di Mancino non venne letta nel corso dell'incontro, ma si accennò al fatto che conteneva le "lamentele" dell'ex senatore sul coordinamento delle indagini sulla trattativa. Grasso ha sottolineato più volte che nessuno gli sollecitò il provvedimento estremo dell'avocazione delle indagini condotte dalle tre Procure ma che la legge di fatto stabilisce che in assenza di coordinamento investigativo, per inerzia e reiterata violazione dei doveri, il capo della dna può avocare le inchieste e diventarne titolare. Di fatto, dunque, l'avocazione è l'unico rimedio all'assenza di coordinamento. 

"Spiegai al pg della Cassazione - ha detto Grasso - che a quel momento non mi risultavano violazioni delle direttive che avevo dato nel 2011, (in occasione di contrasti sorti tra i pm di Palermo e quelli di Caltanissetta ndr) da parte delle tre procure e che non c'erano dunque gli estremi per una avocazione". Nessuno formalmente però sollecitò l'allora procuratore nazionale a togliere le indagini ai pm. "Si era lamentata - ha spiegato il teste - una diversità di indirizzo in quanto la Procura di Caltanissetta diceva che i politici non avevano colpe, mentre altre procure stavano valutando se ci fossero gli estremi per valutare eventuali responsabilità penali". Dopo la riunione Grasso fece una relazione sulla vicenda che inviò al pg Ciani. La relazione gli fu sollecita dal pg che doveva rispondere alla lettera inviata dalla segreteria generale del Quirinale.

Rispondendo ai cronisti dopo la deposizione, Grasso ha quindi detto: "Decideranno i giudici se la trattativa ci fu". E a chi gli faceva notare che i giudici di Firenze hanno già sancito in sentenza l'esistenza delle trattativa ha risposto che "si tratta di un'altra prospettiva".
Condividi