ECONOMIA
Studio Fondazione Di Vittorio
Cgil: Italia maglia nera in Ue per salari ma si lavora di più
Se la nostra busta paga media annua ammonta a circa 30mila euro contro i 48mila dei Paesi Bassi, i 47mila del Belgio, gli oltre 42mila della Germania e i 39mila della Francia, lo stesso non si può dire per l'orario di lavoro, tra i più alti di quelli presi in esame
Un gap di reddito che arriva al 71,8% in caso di monogenitore con due figli. Non solo: i dati mostrano come il maggior cuneo fiscale, cioè la differenza tra lo stipendio lordo versato dal datore di lavoro e quanto riceve effettivamente il lavoratore in busta paga, sia stata pari al 39,2% proprio per la coppia monoreddito con due figli.
L'Italia inoltre è l'unico tra i sei Paesi dell'Eurozona che non ha ancora recuperato il livello salariale pre-crisi (2007). Ma la diversità negativa per i salari italiani, spiega ancora la Cgil, "non è attribuibile all'orario di lavoro che risulta fra i più alti di quelli presi in esame", quanto piuttosto ad un mercato del lavoro che vede "un addensamento maggiore dell'occupazione nelle qualifiche medio-basse" e in un aumento "della precarietà come attesta la crescita dei contratti a tempo determinato discontinuo e l'utilizzo di un part time involontario".
Serve aumento salari, rinnovo contratti e riforma fiscale
E' necessario un "riequilibrio" dei salari italiani non solo per dare una risposta concreta ai problemi delle persone "ma anche come elemento essenziale della competitività futura del Paese". Un recupero che passa da un intervento sulla quantità e qualità dell'occupazione; dai rinnovi contrattuali da troppo tempo bloccati e da una riforma fiscale che recuperi risorse per le retribuzioni. Sono queste per la Cgil le leve da azionare in contemporanea per ridare fiducia ad un paese in grave difficoltà collegandole, come spiega il rapporto della Fondazione Di Vittorio, "all'utilizzo degli investimenti con l'accesso ai fondi europei, alla trasformazione del nostro modello produttivo e alle necessarie risorse per far ripartire i consumi".
Il divario negativo dell'Italia su sviluppo e produttività,infatti, annota ancora il Rapporto, "non è riconducibile né alla quantità di ore lavorate né alle retribuzioni". Il problema invece sta tutto "nelle scelte di anni volte a recuperare competitività di costo attraverso moderazione salariale, che producono bassa crescita, ristagno della base produttiva e dell'occupazione" e in "politiche di governi e parte delle imprese che hanno disincentivato investimenti, determinato scarsa innovazione e inciso negativamente sulla domanda aggregata tramite minori consumi". Nei fatti, conclude la Cgil, "la scarsa crescita delle retribuzioni di questi anni, è stata uno degli effetti ma anche causa, della stagnazione italiana".