MONDO
I più richiesti dai trafficanti di uomini
Quando gli scafisti sono bambini
Sono in maggioranza egiziani, figli di pescatori, poverissimi. Non pagano la traversata sul barcone, in cambio accettano di guidare il gommone verso riva. Quando toccano terra finiscono in cella con l'accusa di traffico di esseri umani. "Sono anche loro vittime", dice Elvira Iovino, reponsabile del Centro Astalli di Catania, che li segue in carcere.
Catania
Gli scafisti bambini arrivano in Italia traghettando adulti che potrebbero essere i loro genitori, ragazzi che potrebbero essere i loro fratelli e spesso anche cadaveri che hanno incontrato ancora uomini, sull'altra sponda del Mediterraneo.
Richiestissimi dai trafficanti
Dentro l'inarrestabile e notissima tragedia degli sbarchi c'è anche quella quasi sconosciuta degli scafisti bambini. "Sono quasi tutti egiziani - racconta Elvira Iovino, la responsabile del Centro Astalli che li segue nel carcere minorile di Catania - sono richiestissimi dai trafficanti che li vanno a cercare nei loro villaggi sulla costa". Hanno 13, 14, 15 anni al massimo, conoscono il mare e le correnti da sempre perché sono figli di pescatori, sanno guidare un'imbarcazione con destrezza a differenza dei loro coetanei del Mali, del Niger o del Chad che l'acqua non l'hanno quasi mai vista. I trafficanti li cercano perché sono poveri, perché sanno che accetteranno la loro offerta: non pagano il viaggio, in cambio guideranno il gommone che dalla nave madre porta il suo carico di disperati verso la costa.
Non pagano il viaggio, in cambio guidano il gommone
Nel carcere minorile di Catania ad oggi ce ne sono dieci, negli anni ne sono passati molti di più. "Alcuni - prosegue Elvira Iovino - ricevono un compenso di cento euro, per tutti gli altri c'è solo un carico di bugie”. I trafficanti di uomini raccontano a questi adolescenti che il lavoro sarà semplicissimo, portare una barca per una manciata di metri e distribuire acqua e viveri. Una volta al largo gli scafisti bambini si rendono conto di essere in mezzo all’inferno: barconi sovraccarichi di migranti che muoiono asfissiati nella stiva, che lottano per un goccio di acqua, che non hanno cibo e quindi non hanno forze. Che sono disperati e stremati. E, nell’ultimo tratto, sono tutti ai loro ordini.
"Per un attimo si sentono potenti, ma sono vittime"
Quando i migranti scendono dalla nave madre e salgono in gommone, sono gli scafisti bambini a distribuire l’acqua rimasta, se c’è, a decidere chi mangia e chi invece guarda gli altri mangiare. “Si sentono insieme terrorizzati e potenti – prosegue Elvira Iovino nel suo racconto – credono di viaggiare verso l’Eldorado e invece, una volta a terra, li aspettano le forze dell’ordine e il carcere”.
Il carcere per traffico di essere umani
Per tutta la vita porteranno il peso di reati gravissimi: traffico di esseri umani, quando i migranti muoiono anche omicidio, strage. “Sono anche loro vittime”, dice Elvira e, quando le escono, le parole pesano di dolore, di fatica e di lotta. Lei, insieme al suo gruppo, inizia a lavorare con loro in quel momento, quando da scafisti tornano bambini: terrorizzati dall’orrore vissuto, schiacciati dalla vita in carcere e paralizzati dal senso di colpa. Il lavoro è a 360 gradi, dall'assistenza legale al cineforum.
La tradizione siciliana come terapia: il cuntista
Una volta in carcere i migranti si trovano davanti un altro muro: gli altri detenuti, ragazzi siciliani cresciuti in quartieri intrisi di mafia con i quali è difficile stabilire un rapporto. Il Centro Astalli ogni giorno - grazie anche al direttore della struttura, Maria Randazzo – cerca nuove strade per farli avvicinare. C’è stato un laboratorio di cucina multiculturale, dove siciliani e migranti hanno raccontato le loro tradizioni, i sapori che le loro famiglie associano ai momenti di felicità. E l’incontro con un cuntista, il cantastorie della tradizione della Sicilia. “Ha raccontato storie di uomini e di mare, di viaggi e di tradizioni millenarie – spiega di nuovo Elvira Iovino – ha parlato della differenza tra le antiche tonnare e quelle di oggi, alle quali i migranti si attaccano quando stanno per affogare”. I ragazzi siciliani hanno capito un po’ di più cosa voglia dire affrontare il mare, gli scafisti bambini hanno rivissuto l’amore e il terrore per quelle acque. Accanto a loro un mediatore che è anche un eroe: scappato dal Maghreb, dopo una vita in strada senza cibo e senza meta oggi dedica la sua vita ad accompagnarli fuori dal dolore.
di Veronica Fernandes
Richiestissimi dai trafficanti
Dentro l'inarrestabile e notissima tragedia degli sbarchi c'è anche quella quasi sconosciuta degli scafisti bambini. "Sono quasi tutti egiziani - racconta Elvira Iovino, la responsabile del Centro Astalli che li segue nel carcere minorile di Catania - sono richiestissimi dai trafficanti che li vanno a cercare nei loro villaggi sulla costa". Hanno 13, 14, 15 anni al massimo, conoscono il mare e le correnti da sempre perché sono figli di pescatori, sanno guidare un'imbarcazione con destrezza a differenza dei loro coetanei del Mali, del Niger o del Chad che l'acqua non l'hanno quasi mai vista. I trafficanti li cercano perché sono poveri, perché sanno che accetteranno la loro offerta: non pagano il viaggio, in cambio guideranno il gommone che dalla nave madre porta il suo carico di disperati verso la costa.
Non pagano il viaggio, in cambio guidano il gommone
Nel carcere minorile di Catania ad oggi ce ne sono dieci, negli anni ne sono passati molti di più. "Alcuni - prosegue Elvira Iovino - ricevono un compenso di cento euro, per tutti gli altri c'è solo un carico di bugie”. I trafficanti di uomini raccontano a questi adolescenti che il lavoro sarà semplicissimo, portare una barca per una manciata di metri e distribuire acqua e viveri. Una volta al largo gli scafisti bambini si rendono conto di essere in mezzo all’inferno: barconi sovraccarichi di migranti che muoiono asfissiati nella stiva, che lottano per un goccio di acqua, che non hanno cibo e quindi non hanno forze. Che sono disperati e stremati. E, nell’ultimo tratto, sono tutti ai loro ordini.
"Per un attimo si sentono potenti, ma sono vittime"
Quando i migranti scendono dalla nave madre e salgono in gommone, sono gli scafisti bambini a distribuire l’acqua rimasta, se c’è, a decidere chi mangia e chi invece guarda gli altri mangiare. “Si sentono insieme terrorizzati e potenti – prosegue Elvira Iovino nel suo racconto – credono di viaggiare verso l’Eldorado e invece, una volta a terra, li aspettano le forze dell’ordine e il carcere”.
Il carcere per traffico di essere umani
Per tutta la vita porteranno il peso di reati gravissimi: traffico di esseri umani, quando i migranti muoiono anche omicidio, strage. “Sono anche loro vittime”, dice Elvira e, quando le escono, le parole pesano di dolore, di fatica e di lotta. Lei, insieme al suo gruppo, inizia a lavorare con loro in quel momento, quando da scafisti tornano bambini: terrorizzati dall’orrore vissuto, schiacciati dalla vita in carcere e paralizzati dal senso di colpa. Il lavoro è a 360 gradi, dall'assistenza legale al cineforum.
La tradizione siciliana come terapia: il cuntista
Una volta in carcere i migranti si trovano davanti un altro muro: gli altri detenuti, ragazzi siciliani cresciuti in quartieri intrisi di mafia con i quali è difficile stabilire un rapporto. Il Centro Astalli ogni giorno - grazie anche al direttore della struttura, Maria Randazzo – cerca nuove strade per farli avvicinare. C’è stato un laboratorio di cucina multiculturale, dove siciliani e migranti hanno raccontato le loro tradizioni, i sapori che le loro famiglie associano ai momenti di felicità. E l’incontro con un cuntista, il cantastorie della tradizione della Sicilia. “Ha raccontato storie di uomini e di mare, di viaggi e di tradizioni millenarie – spiega di nuovo Elvira Iovino – ha parlato della differenza tra le antiche tonnare e quelle di oggi, alle quali i migranti si attaccano quando stanno per affogare”. I ragazzi siciliani hanno capito un po’ di più cosa voglia dire affrontare il mare, gli scafisti bambini hanno rivissuto l’amore e il terrore per quelle acque. Accanto a loro un mediatore che è anche un eroe: scappato dal Maghreb, dopo una vita in strada senza cibo e senza meta oggi dedica la sua vita ad accompagnarli fuori dal dolore.