Original qstring:  | /dl/rainews/articoli/mercato-cinese-crollo-bolla-perche-retail-debito-b0c01e1c-efbf-4eb1-86d7-bdcf89200f9c.html | rainews/live/ | true
ECONOMIA

Perché il mercato cinese è salito tanto e perché ora sta crollando

La borsa che viaggiava su valori altissimi, l'economia reale in fase di rallentamento, la stretta del governo sull'uso spregiudicato della leva finanziaria da parte dei trader cinesi. Metti tutto insieme: la conseguenza è il panico. 

Condividi
di Luca Gaballo Dietro l’esuberanza della borsa cinese dell’ultimo anno c’è un esercito di retailers, di piccolissimi investitori, di famiglie che hanno impegnato i risparmi di una vita e si sono anche pesantemente indebitati per giocare in borsa. Si può dire che siano stati letteralmente chiamati alle armi dalla politica, che dallo scorso anno ha deregolamentato il mercato aprendo la borsa al trading on line.  Non solo. E' stata data la possibilità ai traders di investire con una leva molto ampia, impegnando pochissimi soldi su scommesse in grado di produrre grandi guadagni, o, pesanti perdite, ovviamente. Un dato su tutti. Nel solo mese di Marzo in Cina sono stati aperti 5 milioni di nuovi conti abilitati al trading on line. Si è riversata sui mercati una folla di investitori non solo piccoli ma anche poco preparati e piuttosto ingenui destinati a diventare in poco tempo troppo esposti. E’ decollato infatti contestualmente anche il fenomeno del “prestito marginale”, non bastavano i risparmi di una vita, molti, per mantenere le posizioni, hanno chiesto denaro  in prestito alle banche per giocare in borsa. Il debito totale dei retailers si calcola sia arrivato attorno ai 260 miliardi di dollari. 
E se il crescente indebitamento privato negli ultimi anni ben si conciliava con la crescita a doppia cifra dell’economia cinese il rallentamento a cui stiamo assistendo negli ultimi trimestri, sembra creare dubbi sulla sostenibilità del debito. 

Shangai Composite Index - Ultimo anno – Fonte Bloomberg


 
Shangai Composite Index - Ultimo mese – Fonte: Bloomberg

 
Pechino apprendista stregone
Dopo la connessione delle due borse, quella di Shanghai e quella di Hong Kong, a fine 2014, molti piccoli operatori hanno avuto la possibilità di fare trading su titoli a cui fino ad allora non potevano avere accesso. A questa decisione delle autorità regolamentari cinesi ha fatto seguito quella di concedere la possibilità di operare con una leva molto alta, scatenando forti acquisti in borsa. L’euforia è stata tale che i listini cinesi sono arrivati a realizzare performance di circa il 150% in 12 mesi. Un movimento di massa che ha fatto lievitare le quotazioni della borsa oltre ogni ragionevolezza. Cito un dato su tutti. Il paniere dei titoli Hi tech, tra i più apprezzati dai traders, ha raggiunto quotazioni altissime con un price on earning, ovvero il rapporto tra il prezzo dell’azione e i guadagni dell’azienda, pari a 220 volte. Per dare un senso a questi numeri consideriamo che anche nel momento più alto raggiunto dal Nasdaq della bolla dei titoli dot.com il Poe non è mai andato oltre 156.Ciò ha messo in allerta le stesse autorità di vigilanza, che ad aprile hanno deciso di fare un passo indietro, riducendo la leva e alzando i requisiti di margine per gli operatori che intendono fare trading su quei mercati.
Come spiega Vincenzo Longo di IG: 
"Questo aspetto ha alimentato forti vendite sui mercati, dato che molte posizioni sono finite in richiamo di margine (“margin call”). Dato che il panico, tradizionalmente, si diffonde più rapidamente dell’euforia, le vendite sono proseguite incessantemente negli ultimi giorni, intaccando anche la performance dei titoli con più alta capitalizzazione. Da qui la sospensione di molti titoli per eccesso di ribasso, che questa mattina ha interessato il 50% delle aziende quotate su questi listini. La situazione è degenerata al punto tale che ai timori di stabilità finanziaria si stanno affiancando quelli di stabilità economica."




“Due mesi di tormento, ogni minuto nel panico”
Da quando le autorità cinesi hanno iniziato a stringere la vite e a chiedere requisiti di capitale più alti agli investitori, dando anche loro la possibilità di "impegnare la casa" per coprire le loro posizioni, la paura ha preso a viaggiare rapida sui social network. Circolano storie, come quella che racconta il Financial Times della anziana signora di Chengdu che aveva investito tutti i risparmi della famiglia nella azienda statale costruttrice di treni (CRRC) perché sedotta dall’idea lanciata dal premier Xi di una nuova “via della seta ferroviaria da Pechino all’occidente” cui non hanno fatto poi seguito sviluppi concreti.  “Due mesi di tormento, ogni minuto nel panico” scrive sui social media la signora, e, dopo il crollo in borsa,  annuncia on line il proprio suicidio. Il post ha ricevuto in pochi istanti 20mila commenti e lei è stata salvata, racconta il giornale, dalla polizia che monitora il web proprio per evitare il diffondersi di voci catastrofiste. Per una volta la censura è servita a qualcosa.
Sarà la fiducia scossa nelle autorità, il trauma di chi scopre per la prima volta nella propria esistenza che tutto ciò  che sale prima o poi scende, ma, da quando il governo di Pechino si è mosso per sgonfiare la bolla aumentando i requisiti di leverage, niente di ciò che è stato fatto è servito a rassicurare questa grande massa di investitori spaventati e delusi. Anche l’intervento diretto della Banca Centrale che ha preso a sostenere con acquisti i titoli delle blue chip nazionali ha avuto un effetto boomerang. A sentirsi presi in giro stavolta sono stati gli investitori stranieri che non hanno gradito gli interventi selettivi volti a sostenere solo alcune imprese e non altre e se ne sono andati.

Quali conseguenze?
Il governo cinese ha dato prova finora di pragmatismo e saggezza, lo ha dimostrato durante la crisi Lehman Brothers, passata praticamente senza conseguenze in Cina, grazie anche al pacchetto di stimoli rivolto all’economia reale. E’ pur vero che all’epoca il paese viaggiava ad un ritmo di crescita a due cifre, vicino al 13% mentre oggi è, ufficialmente, al 6,8%. Sembra ancora tanto ma è la metà di allora. Contestualmente la Cina sta tentando quello che in economia equivale a un doppio salto mortale carpiato: trasformare una economia emergente basata sull’export in un grande e sofisticato mercato di beni e servizi. Nel frattempo molte fabbriche chiudono, la disoccupazione aumenta, il boom edilizio sembra sgonfiato e l'indebitamento complessivo del sistema comincia ad assumere livelli preoccupanti, in questo quadro anche le magnifiche sorti e progressive della finanza si sono rivelate poco propizie ad una nuova lunga marcia. Si apre un problema di tenuta del mercato interno ma anche, di consenso politico nei confronti di un partito comunista fin qui considerato, comunque, tecnicamente preparato a gestire la situazione.  E’ pur vero che il governo cinese ha avuto il coraggio di sgonfiare la bolla di borsa prima che assumesse proporzioni catastrofiche cosa che, al tempo delle dot.com, né i governi né i celebrati banchieri centrali d’occidente osarono fare.
 
Condividi