ECONOMIA
Né l'INPS né la ragioneria forniscono ancora cifre ufficiali sui rimborsi
La sentenza sulle pensioni. Il giallo dei numeri
Cinque milioni e mezzo i pensionati rimasti 'congelati' dal blocco degli aggiornamenti Istat. Padoan: "Decreto in settimana, no a indicizzazione totale, rischio di procedura di infrazione Ue per violazione vincolo del 3%, ci sarà intervento per fasce di reddito". Brambilla: "Diffuse cifre assurde, costo per Erario di 3,6 mld in 3 anni". Il costituzionalista Giuseppe Franco Ferrari: "La Corte potrebbe accogliere le misure compensative del governo"
Roma
La tegola in testa per lo Stato c'è, sarà pesante, ma le cifre e le indiscrezioni sui rimborsi dovuti ai pensionati 'congelati' dal decreto Salva Italia stanno creando non poca confusione. Perchè mancano i dati ufficiali: ancora silenzio da parte dell'Inps e da parte della Ragioneria generale dello Stato. Per ora solo una cosa è certa: il ministro Padoan ha detto che in settimana il governo dovrebbe varare un decreto per recepire le osservazioni della Consulta. Poi ha aggiunto che il rimborso sarà graduale, selettivo e che si tuteleranno le fasce di reddito più basse. Il rischio, secondo il ministro, se si volesse ripristinare completamente l'indicizzazione, è la procedura d'infrazione europea per la violazione del vincolo del 3%, dell'aggiustamento strutturale, e della regola del debito.
Ma torniano alle cifre. Secondo i principali analisti economici, gli effetti cumulati della sentenza porterebbero a un costo di 8,7 miliardi per gli anni 2012, 2013 e 2014, un costo di un 1,9 miliardi per i primi 5 mesi del 2015 e un costo a regime che si proietta per il 2016 e il 2017 di 3,5 miliardi all'anno. Il totale sarebbe quindi di 17 miliardi lordi, 14 al netto delle imposte.
Brambilla: "Costo per Erario è di 3,6 miliardi in 3 anni, 1,2 all'anno"
'Cifre iperboliche' secondo i calcoli di Alberto Brambilla, presidente di Itinerari previdenziali ed ex consulente del Nucleo di valutazione della spesa pensionistica del ministero del Lavoro. Secondo il professore, il costo per l'Erario, applicando le regole di indicizzazione precedenti alla riforma Fornero, sarà di 5,5 miliardi lordi in tre anni, al netto 3,6 da suddividere in 3 anni.
Nel dettaglio, dice l'esperto di previdenza, "il monte pensioni con un importo superiore a tre volte l'assegno minimo Inps nel 2012 era pari 154 miliardi di euro, nel 2013 era 159 miliardi. E l'ammontare dell'aggiornamento Istat degli assegni previdenziali nel 2012 è stato di 4,6 miliardi e nel 2013 di 1,9 miliardi per un totale di 6,5 miliardi. A questi bisogna anche aggiungere la rivalutazione 2012 sul 2013 per un esborso complessivo di 6,6 - 6,8 miliardi. Trattandosi di contribuenti che pagano un'aliquota media del 35% e che gli assegni vengono pagato al netto della tassazione, il costo dell'operazione non supera i 4,3 miliardi. "Probabilmente - conclude Brambilla - si ritornerà alle norme di indicizzazione in vigore prima della legge Fornero, con un costo finale lordo pari a 5,5 miliardi, al netto di 3,6 miliardi" da suddividere in tre anni".
Le soluzioni
I pensionati che si sono visti cancellata nel biennio 2012-2013 la perequazione automatica sono circa 5,5 milioni di persone su un totale di 18 milioni. Secondo gli ultimi dati Istat, la quota più consistente è costituita da chi percepisce tra i 1500 e i 1999 euro (il 17% della spesa complessiva), e di chi percepisce tra i 2mila e i tremila euro (18,5%). I tempi e le modalità non si conoscono. Le ipotesi circolate in questo periodo sono diverse. La più insistente è quella di prevedere diversi scaglioni di rimborso, non ridare cioè tutto a tutti. Chi percepisce oltre i 3500 euro-5mila euro lordi mensili (l'importo è indicativo, ndr) potrebbe non essere rimborsato.
Per Giuseppe Franco Ferrari, costituzionalista dell'Università Bocconi, in vari passi della sentenza, la "Consulta utilizza un atteggiamento prudente e chiarisce come nel 2010, nella sentenza 316, era stato permesso, perchè motivato, il blocco della perequazione automatica ma per assegni superiori 8 volte il minimo Inps e per un limite temporale di un anno". In particolare, la sentenza sanciva che “la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità, perché le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto della moneta”.
"Nel caso dell'ultima sentenza - continua il costituzionalista - il limite temporale del biennio dà quasi l'idea di un intervento quasi non più temporaneo. In più la Corte - aggiunge - dice che le ragioni finanziarie che dovevano fare emergere l'esigenza di tale provvedimento non sono state illustrate nel modo dovuto. Credo che la Consulta possa approvare misure compensative ma ci sono 3 fattori fondamentali da tenere in considerazione: il primo è la durata del provvedimento, poi la fascia di pensionati coinvolti. Il terzo e ultimo fattore determinante - conclude Ferrari - è legato al fatto che alla Corte mancano ancora due giudici, un fattore che può mutare gli equilibri".
Ma torniano alle cifre. Secondo i principali analisti economici, gli effetti cumulati della sentenza porterebbero a un costo di 8,7 miliardi per gli anni 2012, 2013 e 2014, un costo di un 1,9 miliardi per i primi 5 mesi del 2015 e un costo a regime che si proietta per il 2016 e il 2017 di 3,5 miliardi all'anno. Il totale sarebbe quindi di 17 miliardi lordi, 14 al netto delle imposte.
Brambilla: "Costo per Erario è di 3,6 miliardi in 3 anni, 1,2 all'anno"
'Cifre iperboliche' secondo i calcoli di Alberto Brambilla, presidente di Itinerari previdenziali ed ex consulente del Nucleo di valutazione della spesa pensionistica del ministero del Lavoro. Secondo il professore, il costo per l'Erario, applicando le regole di indicizzazione precedenti alla riforma Fornero, sarà di 5,5 miliardi lordi in tre anni, al netto 3,6 da suddividere in 3 anni.
Nel dettaglio, dice l'esperto di previdenza, "il monte pensioni con un importo superiore a tre volte l'assegno minimo Inps nel 2012 era pari 154 miliardi di euro, nel 2013 era 159 miliardi. E l'ammontare dell'aggiornamento Istat degli assegni previdenziali nel 2012 è stato di 4,6 miliardi e nel 2013 di 1,9 miliardi per un totale di 6,5 miliardi. A questi bisogna anche aggiungere la rivalutazione 2012 sul 2013 per un esborso complessivo di 6,6 - 6,8 miliardi. Trattandosi di contribuenti che pagano un'aliquota media del 35% e che gli assegni vengono pagato al netto della tassazione, il costo dell'operazione non supera i 4,3 miliardi. "Probabilmente - conclude Brambilla - si ritornerà alle norme di indicizzazione in vigore prima della legge Fornero, con un costo finale lordo pari a 5,5 miliardi, al netto di 3,6 miliardi" da suddividere in tre anni".
Le soluzioni
I pensionati che si sono visti cancellata nel biennio 2012-2013 la perequazione automatica sono circa 5,5 milioni di persone su un totale di 18 milioni. Secondo gli ultimi dati Istat, la quota più consistente è costituita da chi percepisce tra i 1500 e i 1999 euro (il 17% della spesa complessiva), e di chi percepisce tra i 2mila e i tremila euro (18,5%). I tempi e le modalità non si conoscono. Le ipotesi circolate in questo periodo sono diverse. La più insistente è quella di prevedere diversi scaglioni di rimborso, non ridare cioè tutto a tutti. Chi percepisce oltre i 3500 euro-5mila euro lordi mensili (l'importo è indicativo, ndr) potrebbe non essere rimborsato.
Per Giuseppe Franco Ferrari, costituzionalista dell'Università Bocconi, in vari passi della sentenza, la "Consulta utilizza un atteggiamento prudente e chiarisce come nel 2010, nella sentenza 316, era stato permesso, perchè motivato, il blocco della perequazione automatica ma per assegni superiori 8 volte il minimo Inps e per un limite temporale di un anno". In particolare, la sentenza sanciva che “la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità, perché le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto della moneta”.
"Nel caso dell'ultima sentenza - continua il costituzionalista - il limite temporale del biennio dà quasi l'idea di un intervento quasi non più temporaneo. In più la Corte - aggiunge - dice che le ragioni finanziarie che dovevano fare emergere l'esigenza di tale provvedimento non sono state illustrate nel modo dovuto. Credo che la Consulta possa approvare misure compensative ma ci sono 3 fattori fondamentali da tenere in considerazione: il primo è la durata del provvedimento, poi la fascia di pensionati coinvolti. Il terzo e ultimo fattore determinante - conclude Ferrari - è legato al fatto che alla Corte mancano ancora due giudici, un fattore che può mutare gli equilibri".