MONDO
Medio Oriente
Settimo giorno delle operazioni di Israele su Gaza: oltre 170 morti e migliaia di persone in fuga
A Tel Aviv riunione dei ministri degli Esteri dei Paesi arabi e visita del tedesco Frank-Walter Steinmeier. Il ministro della Difesa israeliano, Moshe Yaalon: "Hamas si pentirà di aver dato il via a battaglia". Atteso anche il ministro degli Esteri italiano Federica Mogherini
Una mossa interpretabile come un possibile segnale di una invasione di terra, mentre da altri è stata collegata all'inedito lancio da Gaza di un drone abbattuto poi da un missile patriot israeliano sopra Ashdod.
Ieri, domenica 13 luglio, l'appello del Papa per la fine delle violenze. A Tel Aviv riunione dei ministri degli Esteri dei paesi arabi con la visita del tedesco Steinmeier. Anche il ministro degli Esteri italiano Federica Mogherini è in partenza per il Medio Oriente.
Israele: "Hamas si pentirà di aver dato il via a battaglia"
Il ministro della Difesa israeliano, Moshe Yaalon, ha detto che le incursioni israeliane su Gaza faranno "pentire" Hamas di aver dato il via alla guerra. Il ministro ha incontrato l'establishment militare, uomini dello Shin Bet e il coordinatore delle Attività di governo nei Territori. Al termine, Yaalon si è detto soddisfatto di come l'operazione sta progredendo e ha aggiunto che "quando i capi di Hamas usciranno fuori dai nascondigli capiranno l'entità dei danni e della distruzione portata alla loro organizzazione e si pentiranno di essersi imbarcati in questa battaglia contro Israele".
Oltre 170 vittime palestinesi
Il conflitto a Gaza si intensifica e il bilancio si aggrava: oltre 170 i palestinesi morti e più di 1100 feriti (lo riferiscono fonti mediche locali, secondo cui fra le vittime è elevata la percentuale di donne e di bambini fino a 16 anni di età) mentre Hamas rivendica ancora razzi su Israele, Tel Aviv compresa e fino a Haifa, all'estremo nord del paese. Nella Striscia è fuga di massa dalla zona nord, dove la gente ha abbandonato con ogni mezzo le case prima dei nuovi bombardamenti annunciati da Israele. Diciassettemila persone - mentre la comunità internazionale accelera gli sforzi per un cessate il fuoco e papa Francesco rivolge un appello accorato a interrompere le ostilità - si sono rifugiate nei centri di accoglienza dell'Onu, lasciando una spettrale Beit Lahya da dove, secondo Israele, arriva un buon numero di razzi.
Gli attacchi dal Libano
Una raffica di razzi lanciati dal sud del Libano verso Israele ha scatenato la reazione dell'artiglieria di Tsahal, l'esercito con la 'stella di David'. Lo hanno reso noto in maniera concorde tanto fonti della sicurezza libanese che dell'esercito israeliano. Un razzo è atterrato in una zona aperta del mar di Galilea. Si tratta del terzo attacco di questo tipo da venerdì 11 luglio. Finora nessuno dei gruppi operanti nella zona, tra cui gli sciiti di Hezbollah, ha rivendicato gli attacchi, che comunque non hanno fatto né vittime né danni. La forza di interposizione dell'Onu in Libano, Unifil, è allertata dell'incidente, rendono noto fonti militari.
La diplomazia
Prima che l'escalation entri in una fase ancora più difficile da sciogliere di quella attuale - visto che l'opzione terrestre appare tuttora sul tavolo - la diplomazia prova a dare un segno di vita: il segretario di stato John Kerry ha avvisato da Vienna via telefono il premier Benyamin Netanyahu che gli Usa sono pronti "a facilitare una cessazione delle ostilità" e a favorire "un ritorno all'accordo di cessate il fuoco del 2012", assicurando al contempo "il suo impegno con i leader della regione per fermare il lancio di razzi" contro Israele. Una posizione che sembra andare incontro al concetto di 'calma in cambio di calma' evocato da Netanyahu prima della crisi, anche se il premier è sembrato insistere sulla linea dura ammonendo che l'operazione Margine Protettivo potrà "richiedere tempi lunghi".
"Continueremo ad operare con forza - ha incalzato - in modo da riportare la quiete". Israele resta fortemente determinato su questo punto, tanto che il presidente uscente Shimon Peres, una 'colomba' rispetto a Netanyahu, ha messo a sua volta in guardia che "non ci può essere compromesso con il terrorismo".
Da oggi Gerusalemme e Ramallah (in Cisgiordania) diventeranno la prima linea degli sforzi di mediazione internazionale, con le visite del ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, e della sua collega italiana, Federica Mogherini: quest'ultima, l'Italia al timone del semestre di presidenza dell'Ue, ha sottolineato che "serve una tregua immediata". Il premier Matteo Renzi ha del resto rimarcato che occorre "fermare gli estremisti" per avvicinare una soluzione che garantisca a un tempo "la sicurezza d'Israele" e "il diritto alla patria del popolo palestinese". Il presidente Abu Mazen ha chiesto tuttavia all'Onu di mettere la "Palestina sotto la sua protezione", denunciando la portata dell'azione militare israeliana sulla Striscia di Gaza.