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MONDO

Monsignor Martinelli

Libia, vescovo di Tripoli: "Resto anche se ho visto delle teste tagliate e potrei fare quella fine"

"I miei fedeli sono qui, non potrei andarmene"

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Tripoli "Questo è il culmine della mia testimonianza", "e se la fine dev'essere testimoniata con il mio sangue, lo farò". Lo dice Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, rimasto in Libia dopo l'evacuazione degli italiani dal Paese.

Nato a El Khadra nel febbraio del 1942, figlio di una famiglia di reduci, Martinelli è tornato in Libia nel 1971 da Camacici, frazione di San Giovanni Lupatoto, nel Veronese, ed è uno degli ultimi italiani rimasti a Tripoli.

"In chiesa sono venuti a dirmi che devo morire - spiega - Ma io voglio che si sappia che padre Martinelli sta bene e che la sua missione potrebbe arrivare al termine. Ho visto delle teste tagliate e ho pensato che anch'io potrei fare quella fine. E se Dio vorrà che quel termine sia la mia testa tagliata, così sarà, anche se Dio non cerca teste mozzate ma altre cose in un uomo". 



"Bisogna farsi coraggio - dice ancora il prelato -, la Libia è un Paese che va amato. Bisogna capirlo e saperlo incontrare". "Dobbiamo trovare il modo di far risorgere questo Paese. Non con la forza ma con il dialogo, che è mancato per troppo tempo". "Credo sia il momento più difficile di sempre. Con Gheddafi avevamo anche scambi di amicizia. Era una persona intelligente, anche se un po' matto. Però, ecco, non ci faceva paura".
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