MONDO
Il funerale del bimbo siriano annegato
Tragedia migranti, a Kobane l'ultimo saluto al piccolo Aylan
Una città che è diventata anche e soprattutto il simbolo della tragedia dei migranti in fuga verso l'Europa, delle devastanti conseguenze della guerra e del terrorismo jihadista. Martedì scorso il piccolo di tre anni è stato rinvenuto senza vita sulle coste turche di Bodrum
Kobane (Siria)
La storia di Ajlan, il piccolo siriano di tre anni rinvenuto senza vita due giorni fa sulle coste turche, è nata e finisce a Kobane, la città curda-siriana simbolo della resistenza ai jihadisti dello Stato Islamico (Isis). Una città che è diventata anche, e soprattutto, il simbolo della tragedia dei migranti in fuga verso l'Europa, delle devastanti conseguenze della guerra e del terrorismo jihadista. Oggi Kobane è il luogo del dolore, dell'addio ad Aylan Kurdi e alla sua famiglia.
"Voglio che la morte di mio figlio testimoni le sofferenze del popolo siriano", ha detto il padre del bimbo Abdullah al-Kurdi giunto a Kobane da Bodrum, in Turchia, con i cadaveri dei tre familiari morti: la moglie Rihan, il figlio Galib e lui, il piccolo Aylan. In realtà, fa notare la radio curda "Rozana Fm", che ha intervistato l'uomo, il bambino si chiamava "Alan", che in lingua curda significa "Portabandiera". Il racconto fatto all'emittente radiofonica locale dal padre, unico superstite di una famiglia inghiottita dal mare, è drammatico. "Lo scafista turco è saltato giù dalla barca ed è scappato, lasciandoci soli a lottare contro le onde. Io ho preso per mano i miei due bimbi e per un'ora con mia moglie ci siamo aggrappati alla barca rovesciata, i miei figli erano ancora vivi". Una resistenza disperata, e alla fine inutile. "Il primo figlio (Galib) è stato portato via dalle onde, sono stato costretto a lasciarlo per tenere il secondo bimbo". Quindi - ha proseguito l'uomo in lacrime - "è morto anche il secondo (Aylan) tra le mie mani. Ho visto la bava uscire dalla sua bocca. L'ho lasciato per salvare la loro madre, ma ho capito che anche mia moglie non era più in vita. E così sono rimasto in acqua per tre ore fino a quando sono arrivate le guardie costiere turche e mi hanno salvato".
"Voglio che la morte di mio figlio testimoni le sofferenze del popolo siriano", ha detto il padre del bimbo Abdullah al-Kurdi giunto a Kobane da Bodrum, in Turchia, con i cadaveri dei tre familiari morti: la moglie Rihan, il figlio Galib e lui, il piccolo Aylan. In realtà, fa notare la radio curda "Rozana Fm", che ha intervistato l'uomo, il bambino si chiamava "Alan", che in lingua curda significa "Portabandiera". Il racconto fatto all'emittente radiofonica locale dal padre, unico superstite di una famiglia inghiottita dal mare, è drammatico. "Lo scafista turco è saltato giù dalla barca ed è scappato, lasciandoci soli a lottare contro le onde. Io ho preso per mano i miei due bimbi e per un'ora con mia moglie ci siamo aggrappati alla barca rovesciata, i miei figli erano ancora vivi". Una resistenza disperata, e alla fine inutile. "Il primo figlio (Galib) è stato portato via dalle onde, sono stato costretto a lasciarlo per tenere il secondo bimbo". Quindi - ha proseguito l'uomo in lacrime - "è morto anche il secondo (Aylan) tra le mie mani. Ho visto la bava uscire dalla sua bocca. L'ho lasciato per salvare la loro madre, ma ho capito che anche mia moglie non era più in vita. E così sono rimasto in acqua per tre ore fino a quando sono arrivate le guardie costiere turche e mi hanno salvato".