Resta alta la tensione nel Paese
Ucraina, il presidente: "Amnistia per i separatisti se depongono le armi e liberano gli edifici"
Resta "calda" la situazione nell'est del Paese dove è in atto la rivolta dei filorussi. Ieri l'ultimatum del ministro dell'Interno: "Entro 48 ore sarà messa fine ai disordini anche con la forza". La risposta di Putin: "Kiev eviti azioni irreparabili"
Il presidente ad interim ucraino Oleksandr Turcinov ha assicurato un'amnistia per i speratisti filorussi se consegneranno le armi e lasceranno liberi gli edifici amministrativi occupati nell'est del Paese. Il capo di Stato si è quindi detto "pronto a firmare un decreto presidenziale" in tal senso.
I filorussi - che due giorni fa sono stati costretti dalle forze speciali a sgomberare alcuni edifici amministrativi – hanno ancora in mano il palazzo dell'amministrazione regionale a Donetsk e la sede dei servizi segreti a Lugansk, e non sembrano voler cedere di un millimetro, nonstante l'ultimatum del ministro dell'interno che ieri ha promesso di mettere fine ai disordi entro 48 anche con l'uso della forza. Un ultimatum dopo il quale, gli insorti armati di Lugansk hanno iniziato a rinforzare le barricate già costruite e a innalzarne di nuove per difendere il palazzo occupato da un eventuale attacco delle forze dell'ordine.
Intanto resta il giallo su alcuni presunti ostaggi dei manifestanti. Secondo i servizi segreti ucraini (Sbu), i filorussi armati di fucili e asserragliati nella sede degli 007 di Lugansk avrebbero tenuto in ostaggio una sessantina di persone e le avrebbero rilasciate solo ieri mattina dopo aver trattato con la polizia. Ma gli insorti intervistati dai media russi smentiscono e ribattono di non aver mai sequestrato nessuno.
La replica del presidente russo Putin all'ultimatum del ministro dell'interno
Ieri il ministro dell'Interno Arsen Avakov ha assicurato che entro 48 ore sarà messa fine ai disordini o negoziando o con l'uso della forza. A confermare la linea dura delle autorità, l'arrivo di mezzi blindati a Lugansk, capitale dell’omonima regione, una delle città dove la situazione è particolarmente “calda”. Intanto il presidente russo, Vladimir Putin, dice di sperare che le nuove autorità ucraine "non facciano nulla di irreparabile" anche perché - a suo avviso - l'uso della forza rischierebbe di scatenare una "guerra civile", mentre Kiev continua a denunciare lo zampino di Mosca dietro la rivolta filorussa.
La speranza di una soluzione pacifica della crisi in Ucraina, intanto, è legata anche all’incontro della prossima settimana tra i rappresentanti di Usa, Russia, Ue e Kiev.
Incendiata la sede del partito comunista a Kiev
Resta alta la tensione anche nel resto del Paese. A Kiev nella notte è stata distrutta la sede del partito comunista da un incendio probabilmente di natura dolosa, come confermerebbero le taniche di benzina ritrovate all'interno e gli evidenti segni di scasso. Lo riferiscono i media ucraini e russi. I comunisti avevano tenuto una linea ostile alla rivolta filo occidentale di piazza Indipendenza.
La “guerra” del gas
Intanto è scontro anche sul fronte economico. Dopo che nei giorni scorsi Gazprom, il colosso energetico russo, ha aumentato la tariffa del gas per l’Ucraina da 268,5 a 485,5 dollari per mille metri cubi, il ministro dell'Energia di Kiev, ha annunciato che l'Ucraina (da cui passa circa il 55% del metano russo diretto in Europa) ha smesso di pompare gas russo nei suoi depositi sotterranei.
Nel frattempo il premier russo Dmitri Medvedev ha annunciato che il debito complessivo di Kiev nei confronti di Mosca per il gas ammonta a 16,6 miliardi di dollari. La cifra, ha spiegato, comprende i 2,2 miliardi di dollari per le forniture di gas, 11,4 miliardi di dollari di "mancati profitti" (per lo sconto anticipato legato agli accordi del 2010 per la proroga della base navale a Sebastopoli, ndr) e altri 3 miliardi di dollari, presumibilmente la prima tranche del prestito di 15 mld di dollari poi revocato.
Scambio di accuse tra la Nato e la Russia
Il ministero degli Esteri russi ha accusato la Nato di usare la crisi in Ucraina per consolidarsi, chiamando in causa immaginarie minacce militari da parte di Mosca.
Intanto, il segretario generale dell'Alleanza Atlantica, Anders Fogh Rasmussen, avverte: "conditio sine qua non" per avviare un dialogo credibile con la Russia sull'Ucraina è che Mosca ritiri prima i circa 40.000 soldati ammassati lungo il confine orientale. Le truppe, ha sottolineato, "non si stanno esercitando ma sono pronte al combattimento". Il numero uno della Nato ha quindi inviato un "messaggio alla Russia: potete scegliere di smetterla di incolpare altri per le voste azioni, di porre fine a questa crisi e iniziare ad impegnarvi in negoziati sinceri" ma "il primo passo è ritirare le truppe". Rasmussen ha spiegato che "dalle immagini satellitari che vediamo giorno dopo giorno è la Russia ad alimentare la tensione locale nell'Ucraina orientale e a provocare rivolte. E la Russia sta usando la sua potenza militare per ordinare all'Ucraina di diventare uno stato federale e neutrale. Questa è una decisione che solo l'Ucraina come Stato sovrano può prendere".