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MONDO

Mercoledì l'ultima possibilità per sbloccare l'impasse

Gran Bretagna, bocciati tutti i piani B: Brexit senza accordo sempre più vicina

La Camera dei comuni ha bocciato tutte le opzioni alternative al piano della premier per la Brexit e compiuto un altro passo verso un divorzio senza accordo dall'unione europea

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Il giorno dopo quello in cui il Parlamento britannico ha bocciato, per la seconda volta, tutte le opzioni alternative all'accordo sulla Brexit che difende il governo, di fatto lasciando il Paese nello stallo totale ad appena 10 giorni dalla possibile uscita senza alcun accordo dall'Ue, la premier Theresa May ha convocato i suoi ministri a Downing Street per decidere il da farsi.   Sarà una riunione-maratona, in cui la premier dovrà decidere se virare su una Brexit più morbida rispetto al suo piano, uscire senza alcun accordo o andare a nuove elezioni o a una secondo referendum    Intanto i ministri si sono visti recapitare una lettera di Mark Sedwill, il Cabinet Secretary del governo, con lo scenario da incubo in caso di 'no deal'. Un'uscita senza un accordo con Bruxelles, secondo Sedwill,che e' l'uomo ai vertici dell'amministrazione pubblica britannica, avrebbe conseguenze a vasto raggio in tutti i settori, dall'economia alla sicurezza: prezzi dei prodotti alimentari aumentati del 10%, polizia e forze di sicurezza in difficoltà, in tilt alcune aziende che commerciano con l'Ue, governo pressato per salvare le imprese dal baratro, recessione e deprezzamento della sterlina peggio che nella crisi del 2008, sistema giudiziario messo sotto pressione.


Ieri la Camera dei Comuni ha bocciato tutte le opzioni alternative al piano della premier per la Brexit e compiuto un altro passo verso un divorzio senza accordo dall'unione europea.      

Gli emendamenti in votazione erano quattro: quello presentato dal deputato Ken Clarke, che invitava il Regno Unito a negoziare un'unione doganale permanente con l'Ue dopo la Brexit, è stato respinto per tre voti (favorevoli 273, contrari 276); un secondo, presentato dal deputato laburista Peter Kyle, secondo cui qualsiasi accordo di ritiro deve essere confermato con un referendum popolare, è stato respinto per 12 voti (favorevoli 280, contrari 292); un terzo, presentato da Johanna Cerry, che attribuiva poteri sovrani al Parlamento sul governo e chiede di cercare una ulteriore proroga dell'Articolo 50, è stato respinto per 101 voti (favorevoli 191, contrari 292); il quarto, presentato da Nick Boles, è stato respinto per 21 voti (favorevoli 261, contrari 282): proponeva la soluzione denominata Mercato comune 2.0, ovvero 'Norvegia Plus' e chiedeva (oltre alla libera circolazione) il ritorno del Regno Unito nell'Efta (l'Accordo europeo di libero scambio fondato proprio da Londra nel 1960 prima dell'adesione alla Comunita' europea nel 1973) e quindi la permanenza nel mercato unico Ue come tutti i membri (insieme a Norvegia, Islanda, Liechtenstein e Svizzera) attraverso il trattato sullo Spazio Economico europeo (accordi ad hoc con la Svizzera).
 
Il capo del Labour Jeremy Corbyn ha chiesto che le opzioni siano rivotate, come è accaduto per l'accordo portato tre vole da May in Parlamento, ma per  Guy Verhofstad, portavoce del parlamento europeo per la Brexit, quest'ultima "senza intesa è quasi inevitabile" e il Regno Unito "ha mercoledì l'ultima possibilità di rompere l'impasse o affrontare l'abisso".
 
 
 L'Unione Europea, in vista della scadenza del 12 aprile e in attesa che May faccia ulteriori passi (come chiedere un quarto voto alla camera dei Comuni sull'accordo), comincia a fare i conti in tasca a Londra. Bruxelles si appresterebbe a chiedere 10 miliardi di euro al Regno Unito solo per i nove mesi che restano del 2019, in caso di uscita senza accordo il 12 aprile. La richiesta sarebbe la condizione per continuare a finanziare i beneficiari britannici di fondi comunitari fino alla fine dell'anno. E' quanto rivelano fonti europee, dopo una riunione dei rappresentanti dell'Ue a 27 sulla questione. Il contributo netto al bilancio comunitario del Regno Unito per il 2019 è pari a 17,49 miliardi di euro, di cui 7,2 miliardi sono già stati pagati. In caso di "no-deal", l'Ue rischierebbe di ritrovarsi con un buco da 10,2 miliardi a causa nel 2019. Dal canto suo la Bce ha fatto sapere che una uscita senza accordo del Regno Unito dalla Ue "potrà essere gestita", ma "sarebbe un ulteriore elemento di fragilità che può incidere sulla frenata della crescita economica" dell'Europa. "Le conseguenze di un 'no-deal' non saranno irrilevanti ma potranno essere gestite - ha premesso il vice presidente Luis  de Guindos - le istituzioni europee e anche i governi hanno preso delle misure per affrontare lo scenario peggiore. Siamo più preparati a uno scenario 'no-deal' di quanto lo fossimo sei mesi fa". Tuttavia, ha aggiunto, l'uscita disordinata di Londra "non sarà comunque irrilevante perché i mercati non hanno esaminato la possibilità di uno scenario 'no-deal'. L'impatto potrebbe essere sul sentiment dei mercati e un no-deal, non considerato nelle sue conseguenze dai mercati, potrebbe amplificare le tendenze verso il basso e avere impatti negativi sulla decelerazione dell'economia". L'effetto del mancato accordo, secondo De Guindos, "non sarebbe tanto sui tassi di cambio o sulla svalutazione della sterlina", ma si "aggiungerebbe agli elementi di fragilità dell'economia europea. Sarebbe un altro fattore che rende difficile il rilancio delle attivita' economiche che secondo le nostre previsioni dovrebbero verificarsi nella seconda meta' dell'anno. I mercati non sono allineati sulla possibilita' del 'no-deal' - ha concluso - quindi dobbiamo seguire da vicino" quanto accade.
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