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MONDO

"Ci sentiamo vicini all'Europa, ma nessun ideale vale un bagno di sangue"

Gli Italiani di Crimea: abbiamo paura di essere abbandonati

Dell'Italia non hanno la cittadinanza, solo le origini. Vivono a Kerch, 200 km da Simferopoli. Sono preoccupati per il domani: i prezzi dei generi di prima necessità sono alle stelle, il lavoro diminuisce paurosamente e in alcuni casi già non si trova il cibo

La comunità italiana di Kerch
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di Veronica FernandesKerch (Crimea) Vivono principalmente a Kerch, gli Italiani di Crimea, a 200 chilometri da Simferopoli, in quella lingua di terra che rischia di essere invasa dall'esercito di Mosca e loro, stretti in una battaglia geopolitica cui si sentono estranei, restano in casa, preoccupati. Oggi sono 500 ma c'è stato un momento in cui erano oltre 5.000. La loro storia, iniziata con le Repubbliche di Genova e Venezia, ha rischiato di essere inghiottita dalle purghe staliniane. Moltissimi muoiono tra 1937 e il 1938, quattro anni dopo conoscono la deportazione verso la Siberia: vengono decimati dagli stenti e dai gulag. I sopravvissuti, nel 1956, fondano la comunità di persone di origine italiana che oggi guarda con apprensione le manovre russe e le proteste pro Mosca che infiammano le città della Crimea.

Giulia Giacchetti Boico è la presidentessa dell'associazione Cerkio, acronimo di Comunità emigrati regione di Kerch italiani di origine. Qual è la situazione nella vostra città?
Abbiamo paura perché non sappiamo cosa succederà domani, vediamo spargimento di sangue tutti i giorni. Ma abbiamo anche speranza: domani pregheremo nella nostra chiesa cattolica perché non ci sia una guerra civile.

Anche se non avete la cittadinanza italiana le vostre radici sono italiane. Come avete vissuto EuroMaidan?
Che io sappia nessuna persona di origine italiana, nessuno di noi, ha partecipato alle proteste. Noi possiamo definirci "filoeuropei", vogliamo andare in Europa ma con i modi europei, un'espressione con cui intendo dire: democraticamente, senza sacrificio di vite umane. Noi ci sentiamo italiani, anche europei, ma nessun ideale vale la morte di persone come è successo a Maidan. 

Quale è il vostro timore più grande?
La guerra civile e la bancarotta. Gli stipendi e le pensioni sono già in ritardo, abbiamo paura che non le paghino proprio. Qui gli stipendi sono bassi, non abbiamo risparmi e i prezzi del cibo e dei generi di prima necessità sono già alle stelle. A volte, nei giorni di paura, c'è la corsa per il pane, per le candele, per i fiammiferi. Ci ricordiamo tutti cos'era la Perestrojika, quando non c'erano acqua, cibo, elettricità: speriamo non si ripeta. 

In che rapporti siete con l'Ambasciata Italiana?
Ci danno molto supporto morale, ricevo spesso telefonate. Dato che non siamo italiani non possono fare molto per noi, ma sentiamo la vicinanza e l'interesse.

Anna Fedorovna ha 26 anni. E' di origine italiana e lavora spesso come interprete o guida per i turisti in Crimea. Come è la sua vita in questi giorni di tensione?
Ho paura che la storia si ripeta. L'Italia ci è vicina ma siccome non siamo italiani temo che nel caso scoppi una guerra ci abbandoni, non si preoccupi di noi. Per me sarebbe come vedere la storia che si ripete. La cosa peggiore è non sapere cosa succederà.

Come mantenete viva l'identità italiana?
Io mi sento italiana, il mio sangue mi parla dell'Italia e dei miei nonni. Mia nonna, che è ancora viva, non è mai tornata in Italia e questo la fa soffrire, io invece ci sono stata. E poi c'è la parte della cultura: la cucina, la lingua, gli incontri dell'associazione.

Il marito, Igor Fedorov, teme che questa incertezza distrugga un'economia già fragile. In che modo?
Io lavoro nel turismo, sono amministratore di un piccolo albergo, le prenotazioni non esistono più, nessuno vuole venire in Crimea. Prima chiamavano dalla Russia, dalla Bielorussia, ora le uniche telefonate che ricevo sono per disdire. Siamo molto agitati, il lavoro è importantissimo.
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