MONDO
Teheran
Iran, assaltata l'ambasciata dell'Arabia Saudita a Teheran
Le violenze tra sunniti e sciiti che investono la regione mediorientale rischiano un'ulteriore escalation dopo che l'Arabia Saudita, bastione dell'Islam sunnita, ha annunciato ieri l'esecuzione di 47 persone indicate come "terroristi", tra i quali l'imam sciita Nimr al Nimr, l'oppositore che aveva guidato le principali proteste nella parte orientale del paese ed era noto per le sue posizioni critiche verso il governo saudita
Video shows protesters inside Saudi embassy in Tehran pic.twitter.com/DEmsNLI6ZG
— Sobhan Hassanvand (@Hassanvand) 2 Gennaio 2016
L'assalto è la conseguenza dell'aucuirsi delle tensioni tra sunniti e sciiti dopo che l'Arabia Saudita, bastione dell'Islam sunnita, ha annunciato oggi l'esecuzione di 47 persone indicate come "terroristi", tra i quali uno Sheikh sciita, Nimr al Nimr. Immediata la condanna degli sciiti, dall'Iraq al Libano allo Yemen, dove tra l'altro la Coalizione araba a guida saudita che combatte i ribelli sciiti Houthi ha annunciato la fine di una tregua cominciata il 15 dicembre per l'avvio di negoziati.
L'Iran, potenza rivale di Ryad nella regione, ha detto che l'Arabia Saudita pagherà "a caro prezzo" l'esecuzione di Al Nimr. E la Guida Suprema Ali Khamenei ha ricordato il religioso in un tweet con la sua foto sotto il monito "Il risveglio non si può sopprimere". In serata si è avuto notizia anche di un assalto al consolato saudita a Mashaad, nel nord dell'Iran: su twitter sono rimbalzati foto e filmati in cui si vedono alcuni dimostranti scalare la recinzione che protegge il consolato ed impossessarsi della bandiera saudita. Nelle immagini si vedono anche divampare delle fiamme.
Teheran e Ryad hanno convocato i rispettivi ambasciatori per protestare. Da Beirut il movimento sciita libanese Hezbollah, alleato di Teheran, ha affermato di ritenere "gli Usa e i suoi alleati responsabili" per le esecuzioni, perché "coprono i crimini del Regno". Decine di sciiti hanno dato vita a una marcia di protesta nelle strade di Qatif, nell'Est dell'Arabia Saudita, dove viveva Al Nimr. La televisione panaraba Al Jazira, che ha diffuso le immagini, non ha fatto cenno ad incidenti. Altre decine hanno manifestato nel vicino Bahrein e la polizia ha fatto ricorso a gas lacrimogeni per disperderli. Il Paese, dove la maggioranza della popolazione è sciita, è retto da una dinastia sunnita. I governi dello stesso Bahrein e quello degli Emirati Arabi Uniti hanno invece espresso approvazione per le esecuzioni, giudicandole parte della lotta al terrorismo.
Soltanto quattro dei 147 giustiziati di ieri erano sciiti. Tutti gli altri - tra cui un cittadino egiziano e uno del Chad - erano sunniti. Tra di loro, Fares al Shuwail, considerato il leader di Al Qaida nel Regno, in carcere dal 2004. Secondo il ministero dell'Interno di Riad, la maggior parte dei giustiziati era stata condannata per attentati compiuti dalla stessa Al Qaida tra il 2003 e il 2006 in cui erano rimasti uccisi numerosi sauditi e stranieri. Mentre il portavoce del ministero della Giustizia, Mansur al Qufari, ha negato ogni discriminazione confessionale, affermando che i processi sono stati regolari e hanno visto "garantiti i diritti della difesa". Il portavoce del ministero dell'Interno, generale Mansur al Turki, ha detto che alcuni dei condannati sono stati decapitati e altri fucilati. Le esecuzioni sono avvenute a Riad e in altre 12 città.
Lo Sheikh Al Nimr, che nel 2009 aveva fatto appello alla secessione delle province orientali, ricche di petrolio e dove vive la maggioranza dei due milioni di sciiti del Regno, era stato condannato lo scorso anno da una Corte speciale a Riad per "sedizione" e per avere posseduto armi. Il leader sciita aveva respinto quest'ultima accusa e aveva detto di non aver mai incitato alla violenza. Suo fratello, Mohammad al Nimr, ha riferito che la famiglia è rimasta "scioccata" dalla notizia delle esecuzioni, ma ha fatto appello alla popolazione sciita perché ogni protesta "sia pacifica". Mohammad al Nimr è il padre di Ali, il giovane anch'egli condannato a morte per il quale la comunità internazionale si è mobilitata negli ultimi mesi, ma che non compare nella lista dei giustiziati oggi. Amnesty International ha riferito che Ali al Nimr è stato arrestato nel febbraio del 2012, quando aveva 17 anni, ed è stato condannato a morte per rapina a mano armata e per aver attaccato le forze di sicurezza.