MONDO
L'organizzazione lavora nel Paese dal 2006
Iraq, Medici Senza Frontiere: 380mila persone in fuga dalle violenze nella provincia di Anbar
Nell’ultimo mese, secondo l'organizzazione, più di 18mila persone si sono rifugiate a Tikrit, la capitale della vicina provincia di Salah al-Din ma, nonostante gli sforzi della comunità locale per accoglierli, le loro condizioni di vita restano molto dure. Medici Senza Frontiere lavora per assisterli. A sostegno delle vittime di violenza in Iraq e in altri Paesi, anche un progetto ad Ammam lanciato da Medici Senza Frontiere nel 2006
“Le persone arrivano con pochissimi averi” dichiara Fabio Forgione, Capo missione per Medici Senza Frontiere in Iraq. L’organizzazione lavora nel Paese dal 2006. “La maggior parte si è rifugiata nelle scuole e nelle moschee abbandonate. Il fatto che probabilmente saranno sfollati per un certo periodo di tempo peggiora le loro già difficili condizioni di vita.”
A Tikrit l’équipe di MSF sta lavorando con le autorità locali, religiose e i leader comunitari per distribuire coperte e kit per l’igiene a 15.000 sfollati, mentre pianificano come rispondere al meglio ai loro bisogni medici in un contesto estremamente insicuro.
Il progetto di assistenza ad Ammam
Le vittime delle violenze in Iraq possono trovare assistenza anche ad Amman, in Giordania, dove dal 2006 – secondo Medici Senza Frontiere, più di 2000 persone provenienti dall’Iraq (297 solo da Anbar) hanno ricevuto supporto grazie al progetto di chirurgia ricostruttiva dell’organizzazione, che offre interventi di chirurgia ortopedica, maxillofacciale e plastica ma anche fisioterapia e supporto psicosociale, così come l’alloggio durante il ricovero dei pazienti.
La testimonianza del medico iracheno Ali Al-Ani
Tra i medici che partecipano a questo progetto c’è l’iracheno Ali Al-Ani, Chirurgo Ortopedico. “I nostri pazienti sono vittime del conflitto nella regione – racconta - Per i primi due anni del progetto, abbiamo ricevuto solo pazienti dall’Iraq. Nel 2008, ci siamo ingranditi e abbiamo iniziato ad accogliere pazienti da altri paesi colpiti dalla violenza nella regione, come Gaza, Yemen e Siria. La maggior parte dei casi con i quali abbiamo a che fare sono complessi”.
Nel corso della sua esperienza di storie Ali Al-Ani ne ha viste tante. Ma una più delle altre gli è rimasta nel cuore. È quella di un bambino iracheno di 7 anni, di nome Wael, curato nell’ambito del progetto nel 2009.
“Wael stava andando a visitare suo nonno, sulla strada è esplosa una bomba – racconta il medico-. Sua madre muore e Wael viene gravemente ferito. Perde la sua gamba destra e la sinistra viene gravemente danneggiata. Nonostante la complessità degli interventi, durante il corso delle varie operazioni l’équipe chirurgica è stata in grado di ricostruire la sua gamba abbastanza da poter sopportare il peso del corpo, per attaccare la protesi, e per fare in modo che Wael possa camminare di nuovo”.
Ma, nonostante le cure, non mancano le difficoltà per chi torna in Iraq. “La difficoltà è l’accesso ai trattamenti post-operatori una volta tornati a casa – spiega Ali Al-Ani - Questo include supporto psicosociale e fisioterapia. Nonostante cerchiamo di ultimare il trattamento ad Amman, queste ferite spesso richiedono chirurgia di follow-up e questo è un grande problema”.