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ECONOMIA

L'ipotesi è al vaglio del governo per evitare il reintegro obbligatorio

Art.18, Del Conte: "Il super indennizzo? Se alto, potrebbe diventare deterrente per le imprese"

Intervista a Maurizio Del Conte, docente di Diritto del Lavoro all'università Bocconi di Milano sull'ipotesi, in merito ai licenziamenti disciplinari, di rendere possibile ma non obbligatorio il reintegro del lavoratore, a fronte di un super indennizzo sul modello inglese. Il professore: "Modelli non esportabili da noi, i contesti sono diversi"

Maurizio Del Conte (dal sito unibocconi.it)
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di Cristina RaschioRoma Il lavoro dei tecnici di Palazzo Chigi sulla riforma del mercato del lavoro e sull'articolo 18 procede speditamente. La soluzione a cui si starebbe pensando, in merito ai licenziamenti disciplinari - secondo quanto riporta il Corriere della Sera - prevederebbe di rendere il reintegro nel posto di lavoro possibile ma non obbligatorio. Una soluzione che farebbe in pratica da mediazione tra le istanze della minoranza Pd e il Nuovo Centrodestra. L'ipotesi al vaglio comprende anche un super indennizzo al lavoratore. Oggi - lo ricordiamo - se un giudice ritiene un licenziamento illegittimo, il reintegro scatta in automatico. Ma quali potrebbero essere i vantaggi o gli svantaggi se tale soluzione andasse in porto? Rainews.it lo ha chiesto a Maurizio Del Conte, professore di diritto del Lavoro all'Università Bocconi di Milano.

Professore, quali sarebbero i pro e i contro di questa soluzione?
"Bisogna prima di tutto capire il dettaglio dell'offerta che farà il datore di lavoro al posto del reintegro: vale a dire, quante saranno le mensilità corrisposte e se si terrà conto dell'anzianità. E' chiaro che se la scelta viene lasciata al datore di lavoro, togliamo dall'ordinamento la reintegrazione obbligatoria. Il vantaggio per il datore sarebbe sicuramente la soluzione monetaria legata a un percorso di conciliazione stragiudiziale (non si va davanti al giudice, ndr). Ciò avviene anche oggi, ma cambierebbe con l'introduzione del super indennizzo: l'importo è determinante. Ma oggi non conosciamo le cifre".

E se non ci fosse accordo tra le parti?
"Se non ci fosse accordo, si va davanti al giudice. Nel caso questo dichiarasse l'illegittimità del licenziamento, il datore di lavoro potrebbe scegliere tra il reintegro o il super indennizzo. Ovvio, molto dipende dalla sua entità".

Non si corre il rischio che lo stesso indennizzo diventi esso stesso un deterrente?
"Certo, l'indennizzo potrebbe essere un deterrente. Immaginiamo che da oggi si decida che la reintegrazione diventi illegittima e si fissa l'indennizzo a 48 mensilità: un datore di lavoro potrebbe anche preferire lasciar perdere. La questione è questa: se all'indennizzo si affianca un sistema di accompagnamento alla pensione adeguato, la cosa si può fare. Un errore drammatico è stato il suo innalzamento. Prima, in quache modo, coloro che erano prossimi alla pensione venivano 'accompagnati' e così si favorivano il turnover e il ringiovanimento in azienda. Poi, questa condizione è venuta meno e la situazione degli anziani si è ulteriormente complicata. Se si pensa di togliere la reintegrazione è necessario farsi carico di queste categorie e garantire un indennizzo sufficiente. Una persona di 53 anni, evidentemente, ha molti più problemi a trovare un nuovo lavoro dopo il licenziamento. Bisogna chiarire che cosa si intende per tutele crescenti".

Come funziona oggi la tutela crescente?
"Oggi va in base all'anzianità. Se uno ha 55 anni ed è stato assunto da 5 ha la stessa tutela di un 23enne che lavora anche lui da 5 anni: questo genera iniquità nel sistema. Bisognerebbe unire più parametri come anzianità, vecchiaia e magari anche i carichi familiari. E' necessaria una riforma degli ammortizzatori sociali che guardi alla persona".

Renzi ha citato l'esempio britannico dove avviene di rado che un lavoratore venga reintegrato, anche se il giudice lo ha ordinato, per licenziamento illegittimo. Se un datore non vuole reintegrare, opta per un indennizzo. Lo stesso vale per la Francia. E' esportabile un modello così da noi?
"Il problema è che in Italia non si tiene conto delle specificità dei diversi contesti. In Inghilterra c'è una fortissima mobilità di lavoro. In Francia non è così forte, ma esiste un grande sistema di ammortizzatori sociali e servizi per l'impiego molto più solidi dei nostri. Non si deve andare a fare shopping  di modelli contrattuali all'estero: sono irriproducibili. Negli anni della crisi si parlava della Danimarca e del suo sistema di flexicurity. Da noi oggi non ci sono le finanze necessarie per finanziarlo. E il nodo - ribadisco - non è l'articolo 18. Si deve giocare su altri campi. La reintegrazione a tutti i costi non è la soluzione ed è anche vero che non la si può togliere tout court".

La riforma del lavoro, però, oggi è un imperativo. E il problema non dovrebbero essere i licenziamenti, ma le assunzioni. Come si può fare?
"Noi abbiamo sovrastimato il problema delle regole del lavoro e trascurato, invece, il problema di fare crescere il lavoro. Abbiamo sbagliato il focus del dibattito: il problema non era rendere più facile il licenziamento, ma creare le condizioni affinché la domanda di lavoro aumentasse. Solo con Ferrari e Prada  - giusto per citare alcune delle eccellenze italiane - non andiamo da nessuna parte. A meno che queste non facciano da traino per il mercato produttivo. Sono stati fatti degli errori e i soldi sono stati spesi male: penso al piano garanzia giovani, servito a ben poco".


 
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